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Un conflitto senza fine: nessuna guerra ha mai davvero un vincitore

Dal 7 ottobre 2023, l’attenzione del pianeta è concentrata quasi unicamente sul conflitto Israele – Striscia di Gaza. Ogni giorno, da mesi, vengono forniti bollettini sulla situazione, attraverso tutte le testate giornalistiche. I più recenti, comparsi ovunque negli ultimi giorni, parlano di una presa di posizione piuttosto forte e decisa da parte della Corte Internazionale di Giustizia (CIG): l’ordine a Israele di cessare il fuoco su Rafah. Intanto, il 26 maggio dell’anno corrente 2024, sono state rese pubbliche immagini che mostrano missili partiti da Hamas verso Tel Aviv. Contemporaneamente, Israele ha avviato un bombardamento sulla città di Rafah, uccidendo 40 persone, tra cui anche due alti comandanti di Hamas. La maggior parte dei morti dell’attacco israeliano alla tendopoli sono, però, donne e bambini.

Il bombardamento a Rafah ha scatenato la condanna del mondo, lo stop dei negoziati al Cairo e il retromarcia sul possibile rilascio degli ostaggi.

All eyes on Rafah”

Quello che vorrei fare in questo articolo, oltre che sintetizzare ciò che sta avvenendo, anche perché tutto è in continuo tragico aggiornamento, è fornire un quadro più preciso sulla Corte dell’Aia e analizzare i momenti in cui essa è intervenuta nel corso della storia.

Ma prima di addentrarci, mi sembra doverosa una breve esposizione sul perché questi due popoli si stiano scontrando così aspramente, poiché quando si parla di Israele, Striscia di Gaza e Palestina, c’è sempre una leggera confusione, non a torto, di fondo.

Le radici di questo scontro, infatti, sono da ricercare nel tristemente noto conflitto tra Israele e Palestina, che ormai sta andando avanti da parecchi anni. In realtà, la ragione dell’inizio di questa ostilità sembra piuttosto semplice da capire: in sostanza, ci sono due popoli che rivendicano la stessa terra ed entrambi (ebrei israeliani e arabi palestinesi) dichiarano che quella sia la loro terra d’origine.

Ironia vuole che, secondo quanto detto nella Bibbia, questi due popoli discendano dalla stessa “famiglia”, ovvero quella di Sam, uno dei figli di Noè (sì, l’uomo che ha costruito la famosa arca per sfuggire al diluvio universale, per chi non avesse presente). Da qui, la dicitura con cui ambedue le stirpi sono conosciute, ovvero “popoli semitici”. La divisione sarebbe avvenuta solo qualche generazione dopo Sam, con la comparsa di Abramo e di due suoi figli in particolare: gli israeliti sarebbero nati da Isacco (figlio di Abramo e Sara), mentre gli arabi palestinesi da Ismaele (sempre figlio di Abramo, ma la cui madre era una schiava egiziana).

Ma “catechismo” a parte e, sottolineando che nel corso della storia non c’è mai stato nessuno che non volesse accaparrarsi quella fetta di territorio che fungeva da passaggio tra Europa e Medio Oriente, per fini naturalmente strategici e commerciali, l’astio tra le due popolazioni che già perdurava da secoli, ebbe ufficialmente inizio nel 1948, con la nascita dello Stato di Israele. Infatti, in quell’area si sono susseguite numerose civiltà, tra cui egizi, assiri, romani, bizantini, israeliti, filistei ecc., con varie vicissitudini fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale che, per porre rimedio agli atavici scontri tra ebrei e arabi palestinesi, come detto sopra, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, approvando un piano di partizione della Palestina, proclamò il 14 maggio 1948, lo Stato di Israele.

Da lì, un bel vespaio.

Tutti i tentativi successivi di negoziazione e riappacificazione sono, in un modo o nell’altro, sempre andati a gambe all’aria. Anche perché, diciamocelo: nei pressi di quella zona sono stati scoperti dei ricchi giacimenti petroliferi, chi non vorrebbe metterci le mani sopra?

Tanto è vero, controllando i giacimenti di petrolio più redditizi, si può constatare che tra essi figura quello di Meged (Megiddo), una riserva di greggio di cui Israele rivendica la proprietà all’80%, lasciando completamente a parte la Palestina, costretta a importare il petrolio, senza la possibilità di estrarlo per conto proprio.

Ma il vero “tesoro” che, teoricamente, sarebbe anche una delle ragioni che ha portato allo scoppio della guerra, è Gaza Marine, a poco più di 35 km dalle coste palestinesi, nel Mar Mediterraneo, a circa 610 metri di profondità e con una capienza di mille miliardi di metri cubi di gas, che tradotti in denaro sono entrate di circa 4,5 miliardi di dollari. E questa “miniera d’oro” sarebbe la risposta alla crisi energetica presente nella Striscia di Gaza e a tutta una serie di altre problematiche. Tuttavia, nonostante il giacimento sia stato scoperto negli anni 2000, i lavori e le mediazioni tra Israele e Autorità Palestinesi, con un’intermediazione da parte dell’Egitto, cominciarono proprio poco prima che l’attacco contro Israele avesse inizio.

Ma la Striscia di Gaza, piccolo lembo di terra interno allo Stato di Israele e che si affaccia sul Mediterraneo, nel corso della storia, quando è “comparsa”?

Con la guerra dei sei giorni, avvenuta tra il 5 e il 10 giugno del 1967, dove Israele si accaparrò Giordania, Cisgiordania e gli antichi quartieri di Gerusalemme, città contesa tra israeliani e palestinesi soprattutto per il suo valore culturale e religioso. Fu in questo contesto che la Striscia di Gaza passò sotto la supervisione di Israele.

E finché la guerra non ha avuto inizio, nonostante il territorio fosse occupato, Israele controllava gran parte delle sue attività, come lo spazio aereo, chi entrava e chi usciva (letteralmente, visto che il confine della Striscia di Gaza è segnato da un alto muro di cinta), le acque territoriali, l’ufficio anagrafe e il sistema fiscale (ghetto?).

La situazione interna, fino a poco prima degli attacchi del 7 ottobre, era davvero estrema, con un tasso di povertà che superava il 50%, acque contaminate e luce elettrica che aveva le ore contate.

Ed è proprio questo perenne stato di crisi che ha permesso la nascita di diverse organizzazioni politiche o paramilitari estremiste, tra cui Hamas (nata nel 1987), ovvero l’organizzazione politica palestinese, finanziata soprattutto dall’Iran, dall’Arabia Saudita, da palestinesi espatriati in Europa e dal Qatar, che ha iniziato l’offensiva contro Israele con l’attacco terroristico del 7 ottobre del 2023.

Apro una breve parentesi per farvi capire chi “ha comandato” in Palestina fino al 31 marzo dell’anno corrente 2024, citando testualmente dal sito del governo italiano www.infomercatiesteri.it: “L’attuale esecutivo dell’Autorità Palestinese, presieduto dal Primo Ministro Mohammad Shtayyeh, è in carica dall’aprile 2019 e governa la Cisgiordania. La Striscia di Gaza è amministrata dal 2007 da un’autorità de facto facente capo a Hamas.”.

Adesso capite perché ho voluto farvi questo “piccolo spiegone” (per usare un ossimoro)? Tra l’altro, un’esposizione, come già detto, estremamente riassuntiva e ridotta, perché servirebbe scrivere un pezzo solo su questa faccenda, senza citare altro, per poterne venire a capo in qualche modo. Ma ne verremo veramente mai a capo?

Perché prendere le parti di uno o dell’altro, non è qualcosa da fare così alla leggera, considerata proprio la storia travagliata tra questi due popoli, anche se in questo momento, per ovvie e lampanti ragioni, si tende a schierarsi velocemente.

Ora, torniamo al presente: come dicevo all’inizio di questo articolo, la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di cessare il fuoco sulla città di Rafah, situata nella parte più meridionale della Striscia di Gaza, e di aprire il varco con l’Egitto, per far sì che gli aiuti umanitari necessari possano giungere sul posto. Israele dovrà fornire, entro un mese, un resoconto ben dettagliato sul suo operato in qualità di aiuti umanitari e sullo stop delle operazioni militari nella zona.

Questa presa di posizione della Corte dell’Aia arriva in seguito alle richieste del Sudafrica, che punta il dito contro Israele accusandolo di genocidio.

Il presidente della CIG, Nawaf Salam, ha dichiarato: “La Corte ritiene che, in conformità con gli obblighi previsti dalla Convenzione sul genocidio, Israele debba interrompere immediatamente la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica, in tutto o in parte”. (fonte, euronews)

Naturalmente Israele risponde indignato a tale accusa, definendola “totalmente infondata” e “moralmente ripugnante”, con il primo ministro Benjamin Netanyahu che sembra non aver accolto gli ordini del CIG e che apparentemente si prodiga a proseguire gli attacchi a Rafah, sostenendo che lì, vi risiedano gli ultimi battaglioni di Hamas, peccato che sia il luogo destinato agli arrivi degli aiuti umanitari.

Questo è il sunto dei comunicati dei giorni scorsi, giusto per chiarire esattamente cosa sta accadendo.

Ora, scaviamo un po’ più a fondo.

Partiamo, come sempre, dalle definizioni: la Corte Internazionale di Giustizia, nota anche come Tribunale Internazionale dell’Aia, è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e prende il nome dalla città olandese in cui ha sede, L’Aia, appunto. Nello specifico, il “quartier generale” del CIG è il Palazzo della Pace, una struttura in pieno stile neorinascimentale risalente al 1913.

La Corte venne fondata nel 1945 e il suo compito principale, attraverso il quale si può accertare il rispetto delle norme internazionali, è di dirimere (ovvero risolvere) le varie controversie tra gli Stati membri dell’ONU che ne hanno accettato la giurisdizione.

Spesso (e soprattutto adesso, come ho avuto modo di constatare) essa viene confusa con un altro organo, ovvero la Corte penale internazionale (CPI), anch’essa stanziata a L’Aia.

Anche se non fa parte dell’ONU, ha comunque legami con le Nazioni Unite, visti i suoi scopi: l’affermazione e il perseguimento dei crimini internazionali più seri, tra cui il genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra (per essere più “aulici”, crimina iuris gentium) e crimini di aggressione.

Questi crimini sono elencati all’interno dello Statuto di Roma, ovvero un trattato internazionale della Corte, che definisce i principi fondamentali, la giurisdizione, la composizione, la funzione dei vari organi e i rapporti con le Nazioni Unite.

Perché vi parlo anche della CPI? Se a ordinare il “cessate il fuoco” a Rafah è stata la CIG.

Perché Kharim Khan, Procuratore Capo del Tribunale Internazionale (organo istituzionale instaurato ad hoc per giudicare i crimini di guerra e i genocidi, finora realizzato in due occasioni, ovvero il Tribunale Internazionale per l’ex-Jugoslavia e il Tribunale Internazionale per il Ruanda, di cui vi parlo in questo mio articolo), ha ipotizzato l’attuazione di crimini di guerra perpetrati sia da Israele che da Hamas, richiedendo al Tribunale un mandato di arresto nei confronti del premier Netanyahu, del Ministro della Difesa Israeliano Yoav Gallant e dei leader di Hamas (Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh e Diab Ibrahim Al Masri).

Ecco, dunque, dove entrerebbe in gioco la Corte Penale Internazionale.

I capi di accusa, secondo un pezzo che ho consultato di nicolaporro.it e della rivista di analisi politica, economica e geopolitica “L’Atlantico”, fanno riferimento alle violazioni degli articoli 7 e 8 dello Statuto di Roma.

Nello specifico:

 

  • Sterminio come crimine contro l’umanità
  • Omicidio come crimine contro l’umanità e crimine di guerra
  • Stupro e altri atti di violenza sessuale come crimini contro l’umanità e crimini di guerra (visto che si parla di ostaggi)
  • Tortura come crimine contro l’umanità e crimine di guerra
  • Trattamenti crudeli come crimine contro l’umanità e crimine di guerra
  • Oltraggio alla dignità personale come crimine di guerra (sempre legati al contesto della prigionia)

Ora, date queste premesse, provate a immaginare quale fu l’occasione in cui questa Corte venne istituita per la prima volta in assoluto nella storia?

Se vi dico Processo di Norimberga? Esatto: la CPI venne creata proprio a causa delle atrocità commesse dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Credo che tutti voi, o quantomeno la maggior parte, sappia cosa sia il Processo di Norimberga, quindi non mi soffermerò troppo su di esso. Per coloro che lo sentono nominare per la prima volta, sappiate che si trattava sostanzialmente di due gruppi di processi, avvenuti rispettivamente il 20 novembre del 1945 e il 1ͦ ottobre del 1946, all’interno del Palazzo di Giustizia di Norimberga.

La seconda occasione storica in cui la macchina della Corte Penale si mise in moto, fu il Processo di Tokyo, ovvero una serie di procedimenti intrapresi dal Tribunale Internazionale dell’Estremo Oriente, chiamato a giudicare alcune tra le personalità più influenti del Giappone, accusate di aver commesso crimini contro la pace (Classe A), crimini di guerra (Classe B) e crimini contro l’umanità (Classe C) durante la seconda guerra sino-giapponese, la guerra del Pacifico e il Secondo Conflitto Mondiale.

Per essere chiari: il primo scontro, ricordato come il fatto più sanguinoso del XX secolo avvenuto in Asia, ebbe luogo tra il 1937 e il 1945, tra l’Impero Giapponese e la Repubblica di Cina, provocato, in sintesi, dall’invasione dello Stato del Dragone da parte del Sol Levante; il secondo scontro è invece una sorta di parte integrante della Seconda Guerra Mondiale, ma si riferisce nello specifico a quella che è conosciuta come “grande guerra dell’Asia Orientale”, tra Impero Giapponese e Alleati (USA e Gran Bretagna, di preciso).

Per quanto riguarda i crimini commessi durante il conflitto mondiale e il conflitto sino-giapponese (che ricordo essere avvenuti in parallelo), i documenti e le accuse puntavano il dito specialmente su un fatto terribile: il massacro di Nanchino, noto anche come stupro di Nanchino. Tra il 13 dicembre del 1937 e il gennaio del 1938, i giapponesi occuparono la città cinese di Nanchino, con lo scopo di perseguire ed eliminare i soldati cinesi travestiti da civili. In questo arco di tempo, 300 mila cinesi vennero brutalmente uccisi, una moltitudine di donne stuprate, i bambini assassinati per divertimento, migliaia di civili massacrati, tra svariati saccheggi e incendi.

Il tutto guidato da un infimo pensiero instillato nelle menti della popolazione giapponese, ovvero che i cinesi fossero una “razza inferiore”.

Fu così atroce ciò che venne commesso a Nanchino, che si dice che, unendo le mani delle vittime del massacro, si potrebbe coprire la distanza tra Nanchino e la città di Hangzhou, pari a duecento chilometri; che i loro corpi potevano riempire 2500 vagoni, che se impilati avrebbero potuto creare un edificio di settantaquattro piani di altezza e che se tutto il loro sangue fosse stato versato, esso avrebbe pesato 1200 tonnellate.

A questo punto, prima di avviarmi verso la conclusione, è necessaria una specificazione. Ho già spiegato la definizione di genocidio nel mio articolo sulla memoria degli assassinii in Ruanda (che potete leggere cliccando QUI), quindi mi concentrerò sul farvi comprendere la differenza tra crimine contro l’umanità e crimine di guerra.

Entrambe le terminologie sono soggette a controversie, dato che, più o meno come nel caso del genocidio, il confine per delineare con precisione l’una e l’altra, non sempre è ben definito e dipende, talvolta, dalle legislazioni di ciascun Paese. Insomma, entrano in gioco diversi fattori a livello giuridico.

Tuttavia, si può dire che i crimini contro l’umanità rappresentino atti di violenza contro popoli o parte di popoli, atti in grado di suscitare una generale riprovazione. La nascita di questa locuzione avvenne nel 1915, quando Francia, Regno Unito e Russia, decisero di stilare una dichiarazione di condanna nei confronti del tristemente noto genocidio armeno, avvenuto tra il 1915 e il 1916 da parte dell’Impero Ottomano a danno della popolazione armena.

Questa espressione non va confusa con il genocidio, ovvero l’atto di voler sterminare, cancellare dalla faccia della Terra un popolo.

Con crimini di guerra, invece, si intende violazioni punibili relative al diritto bellico da parte di una o più persone, militari o civili.

Esempi di crimini di guerra possono essere il continuare ad attaccare nonostante la fazione avversaria abbia alzato bandiera bianca; dissimulare l’utilizzo della bandiera bianca per trarre l’avversario in inganno e sferrare un attacco; maltrattamenti ai prigionieri di guerra; la non tutela di simboli di aiuto umanitario come la Croce Rossa o la Mezzaluna Rossa Internazionale.

Un altro punto interessante della questione risiede proprio nell’operato e nell’esistenza in sé del CIG.

In che senso, direte voi? Parliamoci chiaro, siamo arrivati a un punto della storia in cui abbiamo compreso che l’avvio di uno o più conflitti armati non è il risultato di una “lite privata” tra Stati, quanto invece di una mossa strategica in una globale partita a scacchi.

Ormai possiamo dire, forse risultando quasi “complottisti”, che ogni forza bellica messa in atto è stata in qualche modo, probabilmente, “pianificata” da “qualcun altro”.

Risulta quindi quasi “anacronistico” il lavoro di una Corte Internazionale di Giustizia, nata in un tempo in cui l’umanità non aveva ancora in mente il concetto di guerra come “strumento”.

Ora che siamo consci di questi fatti, possiamo veramente parlare di Giustizia? Oppure si tratta di una sorta di “facciata”, un modo per tappare gli evidenti buchi che si vanno a creare inevitabilmente nel sistema? Sanzioni alla Russia docet?

Ciò che sta avvenendo tra Israele e la Striscia di Gaza è orribile: migliaia di persone stanno perdendo la vita in un conflitto che si può definire quantomeno controverso. Controverso poiché si sta dibattendo molto su una domanda nello specifico: ma si tratta di genocidio?

Secondo Pretoria, capitale del Sudafrica, è in corso un vero e proprio sterminio da parte di Israele, mentre il Presidente Biden afferma il contrario. A sostegno di quest’ultima ipotesi, come viene spiegato in un articolo dell’”Atlantico”, si può dire che in Israele, dal 2018, l’arabo è un idioma a statuto speciale e che su 9.656.000 israeliani, più di 2 milioni sono arabi non soggetti ad apartheid. In parole povere, al momento, non vi sono tracce di una persecuzione dettata dalla “razza”, quanto invece da una pura questione territoriale, come ho già spiegato all’inizio di questo scritto.

Cionondimeno, le parole di Netanyahu continuano a essere molto forti, così come le sue apparenti intenzioni di non ascoltare le incitazioni della Corte Internazionale di Giustizia, continuando a perseguire la completa vittoria di Israele su Hamas, trascurando l’idea di colpire anche dei civili inermi e indifesi negli attacchi.

Purtroppo siamo tristi spettatori dell’evoluzione di questa assurda guerra. Anche perché c’è da sottolineare la questione del riconoscimento dello Stato di Palestina, che sta avvenendo in questi giorni da parte di alcune Nazioni, come Spagna, Slovenia, Norvegia e Irlanda.

In realtà, tecnicamente, uno Stato di Palestina sarebbe già esistente dal 15 novembre 1988, quando durante la prima intifada, il leader palestinese Yasser Arafat ne proclamò l’esistenza, con Gerusalemme come capitale.

Fino a questo momento, dunque, 142 su 193 Paesi facenti parte delle Nazioni Unite hanno sempre riconosciuto lo Stato di Palestina, ma tra loro non vi erano Stati Uniti, Canada, la maggior parte dell’Europa occidentale (compresa la nostra Italia), l’Australia, il Giappone e la Corea del Sud.

Mentre Spagna, Slovenia, Norvegia e Irlanda si dichiarano a favore del suddetto riconoscimento, gli USA, ad aprile, hanno negato allo Stato palestinese di diventare un membro a pieno titolo dell’ONU.

Ripeto, un bel vespaio.

Di certo, dopo tutto ciò, è spontaneo alla frase di Albert Einstein (1879 – 1955): “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.”

Scritto da Camilla Marino