Qualche giorno fa, scrivendo una serie di miei appunti che riguardano l’essere umano, mi sono balenate delle considerazioni, pensando anche alle sue interazioni nella storia, sono giunta alla conclusione che l’Uomo è una creatura di per sé distruttiva e, Schopenhauer docet, malvagia, fin dalla sua qualsivoglia creazione. Durante la trascrizione di queste mie note, la mente andava, ovviamente, alle continue guerre e battaglie in atto da sempre e tuttora più che mai, uno dei segni lampanti di questa sua triste inclinazione.
Allo stesso tempo, però, riflettevo che molti atteggiamenti nascono ed esistono, purtroppo, anche in contesti ordinari quotidiani: il miglior (o peggior) esempio in primis, è il bullismo, un fenomeno sfortunatamente in aumento, soprattutto a causa dei social. Anche l’arte, la letteratura e il cinema (soprattutto il cinema) si sono occupati costantemente e largamente della problematica e ve ne parlerò più sotto.
Analizziamo il perché.
Iniziamo, come mia consuetudine, dalla semplice e non banale domanda: che cos’è il bullismo?
Si tratta di un comportamento aggressivo, molesto e anche minaccioso, di natura fisica, verbale e psicologica, nei confronti di un individuo identificato come il più debole, anche se solo apparentemente.
È curiosa l’etimologia della parola. Bullismo deriva dall’inglese bullying, la cui origine risulta alquanto singolare. Il dizionario online Harper, fa risalire il primo utilizzo del termine bully al 1530 circa, ma con un’accezione completamente diversa rispetto a quella odierna: infatti, esso poteva essere tradotto come “innamorato”, dall’olandese “boel” che significava “amante” o “fratello”.
Intorno al 1710, l’espressione prende poi la connotazione di “molestatore dei più deboli”, con riferimento ai protettori delle prostitute. Verso gli ultimi decenni dello stesso secolo, bullying indica una serie di comportamenti aggressivi reiterati nel tempo.
Effettivamente, ci sono tre caratteristiche che definiscono un atto di bullismo: l’intenzionalità, l’asimmetria di potere e la reiterazione (ripetizione), appunto.
Il bullo prende di mira la sua vittima con cognizione di causa, specialmente se questa è isolata rispetto agli altri, tagliata fuori dalla cerchia sociale, e perpetra le sue azioni di danneggiamento fisico e psicologico per un periodo di tempo non determinato.
Quanti di voi hanno subìto bullismo a scuola? Questo è l’ambiente ideale per far prosperare dinamiche di dominazione del genere, dove il teppista (aggettivo assolutamente blando) di turno rinchiude il ragazzo nerd nell’armadietto, come insegnano i cliché dei film americani… Beh, purtroppo non così tanto cliché.
Ma non sono solo le percosse a essere tipiche del bullismo: lo sono anche la violenza verbale, il pettegolezzo, la calunnia e l’esclusione sociale.
Per quanto la location scolastica sia il luogo più florido per tale fenomeno, perché sito di aggregazione, esistono anche altre possibilità, come gli spogliatoi delle palestre, le carceri, i quartieri, la famiglia, il nonnismo militare e il mobbing e il bossing sul posto di lavoro.
Riguardo a queste circostanze nello specifico, nel nostro Paese il nonnismo, inteso come quello della vecchia leva militare, ha praticamente cessato di esistere come caso sociale vero e proprio. L’affermazione è del 2023, di Marco de Paolis, magistrato militare che dirige la procura generale militare presso la Corte Militare di Appello, docente di diritto penale militare e autore di numerose pubblicazioni scientifiche sui crimini di guerra, considerato come uno dei maggiori esperti in Europa. La sua constatazione tiene conto del sensibile crescendo di partecipanti alle forze armate (sia uomini che donne); situazione ben diversa è quella inerente al mobbing, dove l’Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) ha stimato un maggior numero di segnalazioni, dove nel mirino sono presenti maggiormente le giovani donne.
Effettivamente, su quest’ultimo tema dovremmo affrontare anche un discorso a parte, ovvero quello del sessismo sul lavoro, che nonostante gli anni che passano, rimane ancora una lacuna degna degli uomini delle caverne con la clava. Ma non è questa la sede corretta, quindi mi concentrerò sul bullismo.
Vorrei inquadrare quelli che sono gli attori di questa drammatica e rabbiosa messinscena. Attori che mi sono stati illustrati in dettaglio dal mio amico ed esperto psicologo Gianluca Minucci (che ormai è una presenza importante nei miei articoli, come sempre potete seguirlo su Instagram cliccando qui).
Il bullo è colui che, come ho già detto, fa il gallo nel pollaio o l’ape regina nell’alveare, prendendosela con chi è più fragile, ovvero la vittima. Quest’ultima può essere un bersaglio per svariate ragioni, che siano esse razziali, sessuali, estetiche o qualsiasi altro fattore considerato “diverso” da parte dell’aguzzino. Ciononostante, tutti gli oppressi del bullismo sono legati da un fattore comune: la solitudine. Sono persone che, spesso, non hanno amici oppure, se ne hanno, presentano le loro stesse difficoltà a integrarsi in un sistema decisamente malato e superficiale.
Poi vi sono i cosiddetti sodali del bullo, vale a dire i suoi amici, i suoi compari, che gli danno corda elogiandolo, applaudendolo, lodando le sue gesta e ridendo. Il bullo è il “capobranco” e i sodali sono i suoi “sottoposti”, che non avrebbero altra valenza sociale se non fossero nella cerchia del bullo e viceversa.
Ci sono poi gli osservatori, che a parer mio sono forse peggiori del bullo, cioè gli spettatori passivi di questi soprusi. Coloro che guardano, ma che non fanno niente: non incitano il bullo e non vanno in soccorso della vittima. Sono contraddistinti o dall’indifferenza o dalla paura di intervenire o da qualche forma di codardia.
Ma in mezzo a loro, potrebbe esserci quella figura che si distingue dalla massa, dalle pecore, che aiuta la vittima prendendone le parti e difendendola: in psicologia, si tratta dell’aiutante, malauguratamente non sempre presente in quei momenti.
Qua vorrei porre un appunto. Mi rendo conto che il vero problema del bullismo, non è l’atto in sé, quanto invece la mancanza di una presa di posizione da parte degli astanti. Un menefreghismo misto al terrore: terrore di diventare il malcapitato a propria volta, terrore di intromettersi in quella che, dal loro punto di vista, è una scaramuccia che non gli compete, terrore di non riuscire a conformarsi con il gregge e, di conseguenza, di essere tagliati fuori da qualsiasi condizione sociale.
Per quanto possa sembrare scontata una classificazione simile, in realtà, è fondamentale cercare di definire al meglio i ruoli ricoperti dalle varie frazioni durante un atto di bullismo, perché l’annosa questione è ancora oggi oggetto di studio e di non facile definizione.
Sappiate che il primo a fornire un documento di validità scientifica su questi fatti, fu lo psicologo e docente svedese Dan Olweus, che nel 1973 pubblicò “Hackkycklingar och översittare: forskning om skolmobbning”, un titolo che per quanto possa sembrare l’invocazione di un demone millenario, si traduce in italiano come “Vittime e carnefici: ricerca sul bullismo scolastico”.
Dan fu il primo a fornire al pubblico un compendio, appunto, scientifico. Tuttavia, il primissimo a rendere noto l’argomento, fu il medico e conduttore radiofonico Peter-Paul Heinemann, con il suo “Mobbning: Gruppvåld bland barn och vuxna”, cioè “Bullismo: violenza di gruppo tra bambini e adulti”, risalente al 1972, che si incentra sui bulli e sulle loro vittime, la moralità individuale e quella di gruppo. I suoi studi si basavano a loro volta su una serie di articoli del 1969, apparsi sul quotidiano svedese Dagens Nyheter.
Insomma, si può dire che la Svezia abbia funto da capofila in queste analisi sociali.
E nonostante tutto questo materiale, il bullismo cominciò a essere preso sul serio solo nel 1982, quando tre ragazzi norvegesi di età compresa tra i dieci e i quattordici anni si suicidarono in seguito alle persecuzioni da parte dei bulli.
Qui si tocca un tasto estremamente tragico e dolente: il connubio suicidio – bullismo.
Ma prima di addentrarmi in questa difficile sezione, è necessario chiarire quante siano, effettivamente, le vittime di bullismo oggi.
I dati forniti dall’OMS, almeno per quanto riguarda l’Europa tra il 2018 e il 2022, parlano chiaro: il bullismo è in aumento costante e preoccupante, soprattutto il cyberbullismo, ovvero il bullismo tramite social network. È una piaga che sta rendendo la vita difficile a tanti bambini e soprattutto agli adolescenti.
A differenza delle violenze subite di persona nell’ambiente scolastico, il cyberbullismo non ha orari, non ha spazi fisici e, in poche parole, non concede tregua al perseguitato, che si trova ininterrottamente subissato di commenti negativi, insulti e via dicendo. È terribile non avere un porto sicuro in cui poter tirare un sospiro di sollievo, dove anche nel privato ci si sente tormentati, senza un attimo di pace, in un’età dove ancora il carattere e il senso di sé non sono completamente sviluppati.
E i bulli sembrano più potenti che mai online.
Questo perché stare dietro a un monitor è una sorta di “protezione” per il vile carnefice e per chiunque altro: sappiamo tutti che gli haters e i leoni da tastiera sono dei codardi che nella realtà non avrebbero neanche il coraggio di guardarti in faccia e dirti ciò che pensano. Quanto fa comodo stare seduti sulla sedia di casa propria, con il volto dietro a un computer, a sparare a zero contro chiunque per compensare la propria mancanza di autostima? In questo senso, i bulli non sono nient’altro che delle ombre cinesi, dico io: ti sembra di avere a che fare con un lupo cattivo e invece è solo un idiota che fa le forme con le mani.
Ma perché il cyberbullismo risulta più pericoloso degli insulti e delle botte presi di persona? Perché i genitori, nella maggioranza dei casi, non sono neanche consapevoli della vita dei propri figli quando sono online. Alcuni non sanno neanche come funzionano Instagram, Facebook o TikTok e i ragazzi sono sempre più allo sbaraglio, in un mondo virtuale dove l’ingresso ai parenti è spesso precluso.
I numeri dell’OMS forniscono un’idea piuttosto precisa: il 15% degli adolescenti, vale a dire uno su sei, è vittima di cyberbullismo.
E non c’è distinzione tra ragazzi e ragazze, in quanto la differenza di segnalazioni tra un sesso e l’altro è veramente irrisoria.
Di conseguenza, stanno crescendo anche i casi di atti suicidi correlati.
Solo in Italia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha contato 200 casi di suicidi all’anno, di cui il 5% sotto ai 24 anni.
Il Journal of Child Psichology and Psychiatry dice che, sempre nel nostro Paese, è un ragazzo su 5 ad avere comportamenti autolesionistici.
E tra le cause principali di questo scempio, vengono evidenziati il bullismo, il cyberbulissmo, il revenge porn e via discorrendo.
Al momento, comunque, secondo le statistiche mondiali del 2022/2023, il Paese maggiormente colpito è il Messico con ben 270 mila casi registrati, a causa della grande povertà, della mancanza di istruzione, delle abissali differenze sociali, economiche e culturali all’interno dello Stato, colpito inoltre da un alto tasso di criminalità.
Ora, questa affermazione è da prendere con le pinze, poiché non è semplice e immediata l’associazione tra il togliersi la vita e il bullismo. Bisogna tenere conto di tanti altri disagi che possono aver influenzato la vittima, le sue condizioni familiari, le sue condizioni psicologiche. Dunque, non è un discorso da intraprendere alla leggera.
A questo proposito, l’Unione Europea ha promosso il progetto SELYE, una ricerca condotta su 11 mila studenti europei tramite questionari di autovalutazione, che possano identificare e circuire il problema del bullismo e i comportamenti autolesionistici che ne conseguono. Comportamenti riscontrati in ben 168 scuole dell’UE, secondo statistiche recenti.
In questo scenario, però, non abbiamo considerato un’altra potenziale vittima: il bullo stesso.
Attenzione, con questo non sto affatto giustificando i suoi comportamenti, anzi, il mio è un invogliare e un incitare all’inserimento onnipresente di figure professionali e qualificate che possano aiutare psicologicamente sia le vittime che i bulli.
Perché un bullo tormenta i più deboli?
I motivi sono diversi:
- Per porsi in una condizione di controllo e potere
- Difficoltà nella gestione delle emozioni, come la rabbia
- Per assecondare “il branco” e conformarsi
- Mancanza di autocontrollo
- Per compensare i propri problemi di autostima
- Perché è stato egli stesso una vittima di violenza
Di fatto, sono diversi i casi in cui il bullo di turno venga da una famiglia disagiata o non presente, dove magari percepisce i comportamenti violenti come un qualcosa di normale.
Pensate a un ragazzino che vede il proprio padre picchiare la madre: se non c’è qualcuno a spiegargli che è sbagliato, ci sarà un’alta probabilità che quel ragazzino, da adulto, ripeterà la medesima cosa con la sua compagna. Allo stesso modo funziona il bullismo, in taluni casi.
Ma ripeto, questa argomentazione non serve affatto a mettere una pezza sulle azioni compiute da un ipotetico carnefice.
Pongo semplicemente l’accento su quello che, in fin dei conti, risulta essere il problema alla base: una diseducazione già a partire dalla famiglia.
E attenzione, anche questa frase va presa con le pinze: non sto puntando il dito contro tutti i familiari, lungi da me giudicare il lavoro genitoriale (tranne quando si tratta di abusi evidenti, ovviamente).
Sto semplicemente dicendo che negli ultimi anni si è instaurato una sorta di pensiero “buonista” (forse un termine un po’ maccheronico), che non solo sminuisce il bullismo in sé, ma che dà adito al bullo di continuare nel suo operato, perché non c’è un’adeguata punizione.
Al giorno d’oggi, i bulli non sono più quelli che ti lanciano le palline di carta da dietro. Sono i branchi che ti assalgono fuori da scuola e che ti picchiano così forte da mandarti in ospedale, sono quei ragazzi che, probabilmente, se non fermati o controllati, trasformeranno quel pugno in una pugnalata o in un colpo di pistola.
Come dicevo sopra, anche attraverso l’arte si può denunciare il bullismo. Sono diverse le opere che affrontano di petto questa tematica spinosa, particolarmente in campo cinematografico. Credo, inoltre, che mostrare alcune di queste pellicole a scuola potrebbe un ottimo metodo di sensibilizzazione dell’argomento per i giovani.
Il primo film sicuramente da proporre quel piccolo gioiellino di “Wonder”, prodotto nel 2017 e diretto da Stephen Chbosky. Questo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto da R.J. Palacio nel 2012, vede come protagonista un bambino di un’adorabile famiglia, che sta per cominciare la quinta elementare. Fino a questo momento, il piccolo Auggie ha studiato a casa, poiché affetto da una grave malformazione cranio-facciale, che l’ha costretto a una miriade di interventi chirurgici, anche con lo scopo di permettergli di respirare normalmente.
Il lungometraggio affronta le sue difficoltà di inserimento nell’ambiente scolastico, le amicizie, la sua crescita personale e anche l’approccio con chi lo schernisce a causa del suo viso.
Una storia commovente e delicata, con un cast composto da Jack Trambley, Julia Roberts e Owen Wilson.
Dal punto di vista psicologico, con una visionw più violenta e cruda, è stato prodotto il film televisivo britannico “Cyberbully”, del 2011, diretto da Charles Binamé. Come si evince dal titolo, il tema centrale è il cyberbullismo: un’adolescente di nome Taylor riceve un nuovo computer come regalo di compleanno. Si iscrive a un social che rappresenta una proiezione del reale ASKfm, dove si sono verificati davvero un gran numero di casi di bullismo con conseguenti suicidi.
Qui, manco a dirlo, viene immediatamente presa di mira in maniera estremamente pesante e la trama prosegue mostrando ciò che risulta da questi comportamenti.
Il film, tra l’altro, si è ispirato a un fatto di cronaca, quello di Megan Meier, una ragazza perseguitata sui social network che, nel 2006, si purtroppo e tragicamente è tolta la vita.
Anche la letteratura si occupa di ciò, come il libro “Invisibile. Una storia contro ogni bullismo”, scritto da Eloy Moreno e pubblicato nel 2019. Un ragazzo esce di casa e va a scuola, ma una risposta data alla persona sbagliata, lo rende un bersaglio. Le vessazioni continuano al punto che il protagonista comincia a sognare di essere un supereroe con il potere dell’invisibilità.
Oppure, “Ero un bullo. La vera storia di Daniel Zaccaro”, elaborato da Andrea Franzoso, arrivato sugli scaffali delle librerie nel 2022.
Questo testo racconta la storia reale di Daniel, un ragazzo di Quarto Oggiaro che arriva da una famiglia difficile. È una promessa del calcio, ma quando sbaglia il gol decisivo di una partita che avrebbe potuto fungergli da trampolino di lancio per una carriera calcistica, comincia a provare una forte rabbia nei confronti di chiunque, diventando così un bullo e un criminale. Finisce al carcere minorile Beccaria e inizia un percorso di redenzione grazie all’incontro con don Claudio, che gli offre una prospettiva diversa della vita.
Ma anche il mondo della pittura è stato influenzato da questa problematica.
È il caso, per esempio, del dipinto “Bullying” dell’artista cubano Edel Rodriguez, che in questo suo lavoro ha voluto esprimere la violenza verbale, tramite una mirata scelta cromatica: il bullo, raffigurato dalla testa grande e rossa, “divora” la sua vittima, evidenziata dal colore azzurro e molto più piccola, per mezzo delle offese e delle brutte parole.
Ricordiamo poi, molto d’impatto l’acrilico su tela di François Bard, “L’Interrogatoire”, del 2017. In questa scena, evidentemente in un contesto urbano, forse una strada posizionata sotto un qualche cavalcavia, ci sono tre ragazzi. Due stanno probabilmente discutendo tra loro, mentre il terzo, più giovane, sta in silenzio. Non è chiaro se quest’ultimo stia subendo passivamente la litigata tra gli altri due o se sia completamente indifferente, ma il titolo può essere comunque esplicativo per la situazione: c’è un atto di prevaricazione in corso.
O ancora, vi è un dipinto che parla da sé, che mette in luce il bullismo femminile (forse quello più spietato, a mio parere): “Bullying” di Matt Mahurin. Due ragazze sono una di fronte all’altra in cima a un dirupo. La più alta, di schiena, serrando i pugni, sembra insultare la ragazzina più bassa che, in atteggiamento da sottomissione, nasconde le mani dietro la schiena e sembra quasi indietreggiare verso il vuoto. In basso a destra, per terra, si possono scorgere delle ombre, molto probabilmente quelle degli osservatori silenziosi. Il cielo non è sereno, anzi è plumbeo, dando l’impressione che stia per scoppiare un temporale.
L’artista voleva porre l’accento su quanto sia effettivamente pericoloso il bullismo e di come sia così facile condizionare una persona al punto di ucciderla, anche se non direttamente.
Ecco perché è di vitale importanza l’introduzione di uno psicologo che possa seguire certe situazioni, sia da una parte che dall’altra.
Nessuno di questi ragazzi va lasciato solo.
La comunicazione e la consapevolezza sono il primo passo verso la salvezza, anche se, sfortunatamente, personalmente, ritengo che certi fenomeni non siano totalmente debellabili, anche per retaggio culturale atavico e molta ignoranza.
Come ho accennato all’inizio di questo articolo, l’essere umano è una creatura violenta per natura. In fondo, noi siamo come gli animali: esistono gli “erbivori” ed esistono i “carnivori”, viviamo tutti secondo il principio mors tua vita mea, perché la vita stessa è una giungla continua. Così come esiste il bene, esiste anche il male e così come esistono le vittime, esistono i carnefici. Mia madre direbbe: “Caino ha ammazzato Abele”… ed erano fratelli.
Nel capolavoro cinematografico (da alcuni, incompreso) “Cloud Atlas”, viene detta una frase che riassume a tutti gli effetti quella che è la vera indole dell’essere umano, il motivo principale per cui atti come il bullismo non possono essere cancellati dalla faccia della Terra, almeno nel breve termine: “Il debole lo abbatte, il forte lo inghiotte.”.
Non per questo bisogna perdersi d’animo! Si può combattere costruendo e rinforzando la propria autostima, crescendo e maturando, rammentando che il nutrimento dei bulli sono le vostre reazioni di paura, di rabbia e di tristezza. Una risposta, da parte degli psicologi, sarebbe quella di reagire con indifferenza, se non addirittura con ironia, agli atteggiamenti del bullo. Questa è una strategia che in certi casi può dimostrarsi vincente, perché, come dice lo psicologo Gianluca Minucci, il bullo perde il suo potere quando gli vengono tolti il pubblico e la ragione per infastidire. Ma quando si tratta dei cosiddetti “ragazzi del Bronx”, forse l’indifferenza e l’ironia non sono la scelta migliore, bisogna lavorare ancora tanto sui metodi e sulle soluzioni.
Sono sicura che una delle opzioni più valide per contrastare questi atti criminosi (perché di questo, alla fine si tratta) è denunciare, parlare, chiedere aiuto ai genitori, agli insegnanti, agli allenatori, a chiunque vi sia vicino, non rimanete in silenzio!