Come dico ogni volta che menziono la nostra specie, non può non venirmi in mente che l’uomo, per sua natura e dato di fatto, ha voluto, vuole e vorrà sempre arraffare, arraffare e arraffare.
E anche in questo periodo, non è da meno. Trump ha cominciato il suo secondo mandato a gennaio e fin da subito, tra le varie intenzioni e prese di posizione, ne spicca una tra tutte: il Presidente degli Stati Uniti d’America vuole comprare la Groenlandia.

In questo articolo, però, vorrei andare oltre le semplici motivazioni economiche e geopolitiche che si celano dietro a questa apparentemente “fantasiosa” seppur probabile (o anche no) “transazione”: come se comprare uno Stato equivalesse ad acquistare un’auto o una casa. La Groenlandia, l’isola più grande del mondo (l’Australia è considerata continente), è una terra misteriosa, ai nostri occhi remota e lontana, tanto affascinante quanto estrema. E facendo le mie ricerche sulle risorse contenute in quell’inferno ghiacciato, che fanno gola a tutte le potenze mondiali, mi sono imbattuta nel popolo inuit, con le sue peculiari tradizioni, che trascendono la modernità e la contemporaneità.
Questa contesa del territorio potrebbe danneggiare irrimediabilmente non solo l’ecosistema, ma anche questa sua bella popolazione.
Con il mio pezzo seguente, vorrei rispondere a qualche “perché” e farvi conoscere questa gente, di cui spesso quasi ci si dimentica.

Innanzitutto, chiediamoci perché Trump vuole la Groenlandia.
La risposta è forse immediata e scontata: si tratta di una gigantesca miniera di terre rare (scriverò un articolo prossimamente anche sull’accordo con Kiev), definizione con cui si designa un gruppo di 17 elementi della tavola periodica, fondamentali per la realizzazione e la costruzione delle tecnologie odierne, soprattutto nel campo digitale e nella transizione ecologica.
Il sottosuolo è così ricco, da poter affermare che la Groenlandia sia un vero e proprio El Dorado dei minerali, con una stima che supera 26 mila tonnellate per 1000 abitanti. In poche parole, l’ammontare totale di questo tesoro si aggira intorno alle 42 milioni di tonnellate (fonti, ISPI e Economist).



Già solo questi numeri possono far comprendere il movente dietro a tanta acquolina in bocca… Per di più, nell’elenco figurano anche ben 43 dei 50 minerali considerati critici da parte del governo statunitense. Per intenderci, minerali critici (o strategici), sono sinonimo di terre rare. Tra questi ricordiamo il rame, lo zinco, il titanio, il tungsteno, il vanadio e l’uranio.
Inoltre, sotto la superficie si nascondono mastodontici giacimenti di gas e petrolio, anche se i numeri in merito sono sempre incerti. Si pensa che il 13% delle risorse petrolifere e il 30% del gas e delle riserve auree del pianeta (oro, rubini, diamanti e zinco) siano contenuti in quei ghiacciai. Africa, spostati!


Beh, tali dati fanno pensare a un enorme salto economico non solo per gli USA, ma altresì per la Groenlandia stessa. Considerato che il valore ipotizzato per questa terra dal nome metaforico (in lingua danese, Grønland significa “terra verde”) sarebbe di almeno 50 miliardi di dollari, più tutti gli introiti legati alle attività minerarie, ogni cittadino groenlandese diventerebbe quasi istantaneamente milionario! (Se non sottomesso, ovviamente e utopicamente) Anche perché la Groenlandia è famosa per la sua scarsa densità demografica, con poco meno di 57 mila abitanti in tutta la nazione, mettendola al primo posto come la terra meno popolata del pianeta.


Non dimentichiamo che un ulteriore motivo che ha sparato il colpo del via della corsa alla Groenlandia, è la possibilità di nuove rotte commerciali. Su questo punto è soprattutto la Cina a mettere il piede sull’acceleratore. Secondo uno studio condotto dalla Brown University (che potete leggere cliccando qui), visto che siamo nel pieno di quel fenomeno conosciuto come amplificazione polare, ergo il surriscaldamento globale, nel giro di giusto un paio di decenni il ghiaccio sarà quasi del tutto assente per diversi mesi in alcune zone dell’Artico. Riprendendo per di più le parole del nostrano giornalista freelance Davide Del Monte – che si è recato sul posto per condurre un’inchiesta-reportage sui tesori minerari nascosti sotto il ghiaccio, vivendoci per un certo periodo -, i cambiamenti climatici sono 4 volte più veloci ed evidenti proprio qui. Egli afferma che dal 1978 più del 30% dei ghiacciai della zona si è completamente sciolto. Ciò comporterebbe la creazione di nuovi, nonché attesissimi e importanti, corridoi navali. In particolar modo, sarebbero tre le rotte “succulente”:
- Il North West Passage (NWP), che collega Oceano Pacifico e Atlantico passando per il Canada e l’Alaska
- La Northern Sea Route (NSR), che costeggia Scandinavia e Russia
- La Rotta Transpolare (TR), che taglia per intero il Circolo Polare Artico
Attraverso esse si risparmierebbe fino al 50% sia in fatto di tempistiche, che di denaro, oltre che di emissione di gas serra, rispetto ai canonici percorsi lungo il canale di Suez e Panama.



Tuttavia, il discorso non è così semplice. Occorre tenere conto di una serie di fattori, in primis il contesto geopolitico.
Qualcuno di voi sa a chi già “appartiene” la Groenlandia? Al Regno di Danimarca, insieme alle isole Fær Øer. Veramente, se dobbiamo essere precisi, i primi a insediarsi nel territorio furono l’islandese Erik il Rosso (esiliato dai norreni per omicidio), la sua famiglia e alcuni suoi servitori. Fu proprio lui a battezzare la terra con quel curioso nome, “terra verde”, molto probabilmente per attirare i possibili coloni (la teoria secondo cui la Groenlandia, una volta, doveva essere effettivamente una terra priva di ghiaccio, è stata smentita).
Dunque, furono gli islandesi, dall’XI secolo in poi, a giungere per primi sul posto. Fu solo secoli dopo che il Regno di Danimarca-Norvegia ne rivendicò la proprietà.

Dopo svariate peripezie, a seguito di un referendum nel 2008, la Groenlandia ottenne una maggiore autonomia dalla Danimarca, istituendo una forma di auto-governo, una propria polizia, il riconoscimento del groenlandese come lingua ufficiale, nonché la gestione autonoma delle risorse minerarie.
La Danimarca, comunque, ne amministra la politica estera e si occupa dei sussidi alla popolazione, finanziando la maggior parte delle istituzioni scolastiche e sanitarie, considerando anche che la Groenlandia non conia monete. Il reddito pro capite ammonta a circa 55 mila euro all’anno e grazie alla patria natìa della Sirenetta, la disoccupazione non è affatto un problema.
La Groenlandia è piuttosto divisa sulla situazione: c’è chi vuole rendersi completamente indipendente (nel 2017 è stata abbozzata la loro Costituzione) e chi invece è ben felice di questa posizione di “semi-dipendenza”.

Su una cosa, però, la Danimarca e molti degli abitanti groenlandesi sembrano essere certi: la Groenlandia non è in vendita. E questa non sarebbe neanche la prima volta che Trump fa “un’offerta che non potranno rifiutare”: già nel 2019, il tycoon aveva espresso un vivo interesse per questa acquisizione, ottenendo però un secco no come risposta. Altri tentativi di compravendita risalgono addirittura al 1946 e al 1868.
Oltretutto, molti degli inuit e dei danesi non bramano a farsi “invadere”, per così dire, pure dalla Cina, le cui attività sul territorio sono state fermate più di una volta. Per esempio, nel 2016, il governo danese bloccò la società General Nice (con sede a Hong Kong) dal rilevare la base navale abbandonata groenlandese di Grønnedal; nel 2021, il progetto Kvanefjeld di estrazione dell’uranio da parte dell’australiana Greenland Minerals, con il partner cinese Shenghe Resources, venne stroncato sul nascere.

Ciononostante, Del Monte, che è stato a contatto con la comunità locale e ha avuto modo di ascoltare i loro pareri in merito all’attività mineraria, gli inuit non sono contrari al suo avvio, quanto invece all’estrazione dell’uranio. Sebbene la capitale della Groenlandia, Nuuk, sia consapevole che il commercio dell’uranio compenserebbe una futura latitanza dei sostentamenti da parte della Danimarca, qualora l’autonomia totale venisse promulgata, esiste un fondo di moralità che tira il freno su questa iniziativa: “E se l’uranio venisse sfruttato per la realizzazione di un’altra bomba atomica?”… qualcuno gli dica che l’acqua calda è stata scoperta da un pezzo!
La ministra groenlandese per le risorse minerali Naaja Nathanielsen ha affermato di essere favorevole alla loro espansione, ma ciò sarebbe ottenibile solo attraverso l’indipendenza completa dello Stato, a sua volta non di facile auspicio, considerato il già più volte citato legame economico con la Danimarca.

La Groenlandia mira al distaccamento anche per una problematica con l’Unione Europea (di cui non fa più parte già dal 1982 proprio per il motivo seguente): le nuove normative ambientali che vietano la caccia della foca e di altri animali a rischio, come anche le balene. Occorre considerare che la Groenlandia è uno dei luoghi più inospitali del globo e che a differenza di qualsiasi altro Paese ricco di materie prime, lì non si può fare affidamento sull’agricoltura, su grandi importazioni o esportazioni e nemmeno sul poco turismo che arriva.
Le fonti di sostentamento degli inuit sono, in effetti, foche, balene, caribù e via dicendo. La caccia è per loro di importanza oltremodo vitale.

E con lo scioglimento dei ghiacciai, la pesca si fa sempre più rischiosa e infruttuosa. Un prodotto alimentare tipico di quell’area sono i gamberetti ed è da un po’ di tempo che i pescatori rimangono sempre più spesso a mani vuote perché gli animali si spostano verso le acque più fredde. Dalla pesca alla miniera, il passo non è di certo breve.
Ma allo stesso tempo, quest’ultima potrebbe rappresentare l’unica soluzione per non finire in rosso, per non aumentare la disoccupazione.


Un metodo di guadagno su cui la popolazione spinge è la diffusione della cosiddetta inuit art (nota anche come Eskimo art, anche se è un’espressione offensiva), una forma d’arte tipica del popolo inuit che raffigura tutti i soggetti e i protagonisti della loro cultura. Fino al 1945, il materiale usato per la realizzazione delle sculture era l’avorio ottenuto dalle zanne di tricheco, ma successivamente vennero usate la pietra ollare, l’argilla e la serpentinite (tutto nel suolo).




A Manitoba, in Canada (Paese confinante con la Groenlandia), nella Winnipeg Art Gallery, è presente la più vasta collezione al mondo di arte inuit, che comprende statuette, amuleti, vestiario, quadri e disegni. La più grande artista, nonché pioniera dell’arte inuit è stata la canadese Kenojuak Ashevak.


Ma allora la Groenlandia, in fin dei conti, cosa vuole? In sostanza, mira a essere completamente autonoma, sia dalla Danimarca che da chiunque altro, Trump compreso, ma non ha ancora i mezzi per poter raggiungere l’obiettivo…
In effetti, le affermazioni del premier groenlandese Muté B. Egede non lasciano alcuna ombra di dubbio: “Non vogliamo essere americani. La Groenlandia deve mantenere la sua autonomia e decidere autonomamente il proprio futuro, senza essere sottoposta a pressioni esterne.”.
Cosa succederà? Beh, Lucio Battisti cantava “Lo scopriremo solo vivendo”. Vedremo quanto l’offerta di Trump potrà sembrare generosa e fattibile o meno ai groenlandesi.

Ho esposto i pro e i contro economici e geopolitici, ma non mi sono affatto dimenticata dell’ecosistema.
Sappiamo tutti quanto questo ambiente in particolare sia a forte rischio a causa del cambiamento climatico. Tutte le bestie ivi presenti, come orsi polari, balene, narvali, i già citati gamberetti e via dicendo, stanno modificando il loro comportamento, confusi e spiazzati dalle nuove correnti e dallo scioglimento dei ghiacciai. Alcuni animali vanno altrove, cercando il freddo, mentre altri si avvicinano alle coste, non solo auto-servendosi su un piatto d’argento, ma mettendo anche a rischio la vita dei pescatori e di chi vive a contatto con il mare.


Pensate quanto potranno sconvolgere la fauna e la flora locale le attività minerarie! Sarebbe un disastro geologico ed ecologico, con un’impennata della temperatura tale da stravolgere la vita di ogni essere vivente.
L’esperto della politica dell’ambiente e del WWF della Groenlandia, Jonas Nørgaard, lo conferma: “L’estrazione mineraria in Groenlandia potrebbe causare danni irreversibili all’ambiente, alterando gli habitat naturali e mettendo a rischio la fauna che dipende da un clima stabile.”.


Una constatazione ulteriore sarebbe l’impatto culturale con il popolo inuit. Alt! Non chiamateli eschimesi! Questo termine tanto usato, è in realtà considerato decisamente dispregiativo dalla comunità.
La parola “inuit”, in lingua inuit (inuktitut), significa infatti “uomini”, mentre “eschimesi” viene tradotta come “fabbricanti di racchette da neve”.
Abitano in Groenlandia, in Canada e in Alaska e possiedono una cultura davvero singolare e fortemente legata alla Natura.

La loro religione, se così vogliamo chiamarla, si è conformata al cristianesimo, ma in realtà ha origini animiste, dove non vi è un dio più potente degli altri, non esiste il Paradiso e nemmeno l’Inferno. Semplicemente, ogni cosa naturale, che sia uomo, animale, pianta, roccia o mare, ha un’anima, definita in lingua inuktitut come anirniq, traducibile anche come “respiro”.

Secondo la loro mitologia, ogni spirito continua a esistere anche dopo la morte, ragion per cui non bisogna affatto inimicarsi un anirniq. Il guaio è che questo popolo consuma davvero tante anime, visto che vive di caccia e pesca. È dunque essenziale e fondamentale rispettare gli anirniq, rendendo loro omaggio e non violando i tabù. La figura in grado di comunicare con gli anirniq, attraverso uno stato di trance provocato dal suono ritmico dei tamburi, era quella dell’angakkuq, una sorta di sciamano oggi quasi del tutto scomparso.

Cercare di interpretare i segni dati dagli anirniq è sempre stato primario, perché un posto ai confini della Terra come l’Artico ha condizioni ambientali estreme e variabili. Un anirniq irato in cerca di vendetta (che poteva essere un tuurngait, vale a dire uno spirito connesso a un corpo fisico) poteva sterminare un popolo intero, che fosse con un violento attacco da parte degli orsi polari o con una tormenta glaciale.


Una divinità che non è affatto saggio far adirare è Sedna, la dea del mare e di tutti gli animali che lo popolano.
Esistono varie versioni della leggenda legata a questa donna tanto bella quanto vendicativa, rappresentata spesso come una sirena. Secondo il mito più conosciuto, Sedna era una meravigliosa donna che aveva, però, un rapporto morboso con il padre. Un giorno venne ingannata da una stupenda procellaria (un uccello), che convinse il padre a prenderla come sua sposa.

Tuttavia, il marito la abbandonò presto su un isolotto, sfamandola a stento. Sedna chiamò a sé il genitore per farsi soccorrere e quando questi la caricò a bordo del suo kayak per riportarla a casa, il malefico uccello sbatté le ali sopra le loro teste, scatenando una violenta tempesta. Il padre, terrorizzato e intento a salvare la pelle, gettò la figlia dal kayak, colpendo la mano con cui la poverina si teneva disperatamente aggrappata e spezzandole quattro dita. Sedna affondò nelle profondità del mare, diventando una dea, e dalle sue dita mozzate nacquero gli animali che lo abitano.
Per non farla arrabbiare, gli inuit, dopo una battuta di pesca, fanno bere all’animale dell’acqua dolce come segno di riconoscenza alla dea per aver permesso loro di procacciarsi del cibo.

Un’altra leggenda narra quanto il corvo sia considerato un essere divino e ingegnoso, perché secondo loro creò la luce da donare al mondo. Esso, infatti, rubò il sole da una cassa custodita da uno spirito malvagio. Un mito che sottolinea l’importanza della luce in una terra governata dal buio per tanti mesi. Un po’ come il fuoco della conoscenza che Prometeo rubò agli dèi dell’Olimpo per donarlo all’Uomo, se ci pensiamo (mitologia greca).

Anche l’alternarsi del giorno e della notte nasconde una storia: la sorella Luna e il fratello Sole, una volta molto uniti, un giorno litigarono e si separarono; da quel tempo, i due continuano a rincorrersi.
E come non menzionare le magiche luci dell’aurora boreale? In quelle luci mistiche, gli spiriti degli antenati e degli animali danzano e giocano (chi ha visto il cartone della Disney “Koda Fratello Orso”?).




Come dicevo, tutte queste tradizioni, tutti questi racconti secolari e tutto questo folklore, stanno venendo sempre meno, a causa della forte pressione economico-sociale occidentale. E non è una fusione piacevole: la conseguenza di questa invasione è un crescente senso di alienazione sociale, di perdita delle proprie radici. Esiste una terminologia vera e propria che descrive questo sentimento: la solastalgia (espressione coniata dal filosofo australiano Glenn Albrecht nel 2003). Si tratta della nostalgia della propria casa, nonostante la si abiti. Albrecht la descrive: “È un tipo di nostalgia di casa o malinconia che provi quando sei a casa e il tuo ambiente familiare sta cambiando intorno a te in modi che ritieni profondamente negativi.”. È il non riconoscere più il proprio luogo, è l’estraniazione che si prova osservando un posto che si ama e che si dovrebbe conoscere come il palmo della propria mano, ma la cui spiritualità è stata corrotta, contaminata, così da farcelo apparire sconosciuto e ostile. E questa spiacevole e tragica sensazione trova il suo colpevole non solo nel cambiamento climatico, che cambia la morfologia e la geografia, ma nei secoli continui di colonizzazione, nell’inquinamento da parte di altre culture e altri popoli. In poche parole, gli inuit stanno vivendo un incubo terribile: non sanno più chi sono. In tanti sono coloro che, a causa di ciò, sono affetti da depressione e alcolismo, facendo svettare in classifica la Groenlandia per il numero di suicidi.



Non è tutto oro quello che luccica, dunque. Ciò che noi potremmo considerare come progresso, per gli inuit è una vera e propria fonte di distruzione identitaria, uno schiaffo, appunto, alla loro anima. Beh, noi non dovremmo sorprenderci più di tanto. In fondo, è lo stesso crimine che abbiamo commesso per secoli con i nativi americani e con qualunque popolo indigeno del mondo, o sbaglio?
E quel ghiaccio, con i suoi preziosi tesori e metalli, è una tentazione che può diventare un’arma di annientamento in nome del tanto agognato potere e del sempreverde dio denaro.
D’altronde, come dice un proverbio inuit: “Non si conoscono amici e nemici finché non si rompe il ghiaccio.”.