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L’ossimoro della democrazia

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Dobbiamo ammettere che ci troviamo sull’orlo di una crisi senza precedenti, con chi è a capo dell’Europa che inoltre inneggia e incoraggia il nostro continente alla militarizzazione e all’armamento, dichiarando che l’Unione debba difendersi. Vagliando, però, che il presunto riarmamento non sarà “completo” fino al 2030, dovremmo chiedere a chi ipoteticamente ci sta minacciando di farci la cortesia di aspettare a mandarci le sue truppe… ringraziamo anticipatamente e porgiamo cordiali saluti!

E non posso non menzionare, vista l’attualità, che in questo scenario, nel nostro Bel Paese, è stato evidenziato, con aspre critiche, il Manifesto di Ventotene, che è considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea, che ne promuoveva la nascita e che aveva come titolo precedente e originale “Europa Libera e Unita. Progetto di un Manifesto”.

Quest’ultimo, fino a poco tempo fa (quando è stato nominato), era sconosciuto ai più nel nostro Paese, nonostante la sua importanza, scatenando, ovviamente, centinaia di commenti da parte dei “tuttologi” del web, che nulla sanno e nulla leggono, spesso e volentieri.

Fu redatto dal politico Altiero Spinelli, dal giornalista Ernesto Rossi, con l’aiuto dell’altrettanto politico Ernesto Colorni, durante il loro periodo di confinamento sull’isola di Ventotene, nel Mar Tirreno, nel 1941 (da qui, appunto, il titolo del Manifesto). Il contenuto di questo documento, in effetti, promuoveva la creazione di un’Europa unita sotto un governo federale e democratico, secondo un’ideologia filosofica del tutto kantiana ed hamiltoniana (Hamilton è stato uno dei padri fondatori del federalismo americano, mentre della filosofia di Kant vi parlerò più tardi).

Eppure, nonostante il Manifesto esprima la volontà di creare una democrazia federale, molti degli elementi proposti riportano più a un’ideologia di stampo socialista, con l’abolizione della militarizzazione e l’annullamento di certi ceti considerati “parassitari”, asserendo che il popolo non fosse ancora abbastanza “maturo” per governare, ragion per cui occorreva l’intervento dello Stato.

Il funzionamento dell’Europa odierna fonda le proprie basi sull’idea di un continente federale e democratico che questo Manifesto tanto millantava. Nonostante ciò, prendere oggi come spunto uno scritto del genere, redatto in un periodo storico buio come quello del fascismo e del nazismo, è quantomeno anacronistico e fuori dal tempo.

Ma dopo tutta questa premessa, veniamo al dunque.

Chi legge i miei articoli, sa benissimo che non mi soffermo mai troppo sulla cronaca, poiché ci sono già in circolazione centinaia di altri pezzi che spiegano in dettaglio cosa stia succedendo e perché. E nemmeno voglio discutere della possibilità dello scoppio di un conflitto bellico che coinvolga mezza Europa, neanche di quanto tale idea sia praticamente un atto suicida e folle per l’Unione e soprattutto per l’Italia, dati i colossi protagonisti, America e Russia.

Ciò su cui invece ho indugiato, leggendo informazioni inerenti al Manifesto di Ventotene, è stato proprio il concetto di democrazia, abbinato, comunque, alla “mancanza di maturità” del popolo.

E pensando alla democrazia e a come sta andando avanti il mondo, mi sono resa conto di quanto tale concetto, per come molti di noi lo intendono, sia in realtà un tipo di governo estremamente utopico, nonché ricco di contraddizioni.

Insomma, mettendola in maniera platonica: l’idea di democrazia non esiste.

Ecco cosa vorrei fare oggi con questo stilato: provare a capire effettivamente di cosa stiamo parlando, cosa si intende con essa e vedere se, a conti fatti, siamo riusciti a costruirne una, culminando nei miei soliti e immancabili riferimenti artistici.

Parto con il dire che questo è forse uno degli scritti più complessi che abbia mai deciso di scrivere finora. Affrontare una tematica del genere non è affatto semplice, poiché non si può pretendere di guardare solo il lato puramente politico. Al contrario, le implicazioni filosofiche sono molteplici e indispensabili, molte delle quali intrecciate tra loro ed evolute nel corso dei secoli, un po’ come le ramificazioni delle radici di una sequoia che, tuttavia, non ha ancora dato appieno i suoi frutti. Si vede qualche gemma, ma i fiori non sono sbocciati.

Per compiere questo viaggio, come sempre, si inizia dalle basi, da quel piccolo seme sepolto nel terreno millenni orsono: la parola “democrazia” deriva dal greco ed è composta dalle locuzioni démos e kratos, che significano rispettivamente popolo e potere. Dunque, la democrazia è letteralmente il governo del popolo, laddove il popolo è sovrano o ha la capacità di scegliere da sé la figura a capo dello Stato.

Se da una parte, questa definizione appare chiara, cristallina e senza alcun bisogno di approfondimenti di sorta, dall’altra, leggendola attentamente, già in partenza nasconde un certo grado di ambiguità.

In effetti, il concetto stesso di democrazia non è mai stato definito in maniera totale, essendosi irradiato in diverse accezioni a seconda del contesto storico e sociale.

Per esempio, molti di noi danno per scontato che nell’Antica Grecia vigesse la democrazia in molte delle poleis, ma in realtà la parola “democrazia” aveva un senso negativo: kratos, infatti, era più riconducibile alla forza materiale, dunque democrazia significava letteralmente “dittatura del popolo”. Gli ateniesi preferivano utilizzare un’altra espressione per indicare la sovranità del popolo: isonomia, vale a dire l’uguaglianza delle leggi per ogni cittadino (concetto promosso dal pensatore ateniese Clistene), collegata a sua volta ai principi di isegoria (cioè il diritto di ogni cittadino di prendere la parola durante un’assemblea), di paressìa (la libertà di parola) e di eleutherìa (la libertà in generale).

Ma per comprendere meglio quanto appena detto, ecco che soggiunge il caro e buon vecchio Platone, il cui pensiero filosofico comprendeva una buona fetta di politica.

Egli, infatti, scrisse un’intera opera dedicata alla sua idea del cosiddetto “Stato Ideale”, ovvero “La Repubblica”, un testo redatto sottoforma di dialogo, risalente al periodo compreso tra il 380 e il 370 a.C.

Per quanto il titolo possa essere fuorviante (una traduzione più precisa, in realtà, sarebbe “La Costituzione”), questi dieci libri poi uniti in un unico lavoro, narrano della sua idea di governo, mettendo in luce la moltitudine di ragionamenti e riflessioni che portano a dettate conclusioni.

Qualcuno di voi conosce il mito della caverna di Platone? Tale allegoria ci induce a immaginare che gli esseri umani siano imprigionati e incatenati sin dalla loro nascita all’interno di una caverna. Alle loro spalle, è acceso un fuoco, che proietta le ombre di alcune marionette raffiguranti tutto ciò che conosciamo (animali, piante e oggetti) sul muro di fronte a loro. Gli uomini non conoscono altro e pensano che quelle ombre siano reali. Se uno di loro avesse la possibilità di uscire dalla caverna, avverrebbero sostanzialmente due fatti: il bagliore del sole lo accecherebbe e il dolore agli occhi sarebbe troppo difficile da sopportare, cosicché l’individuo tornerebbe di propria volontà a essere prigioniero, rinnegando il mondo esterno e la conoscenza che ne potrebbe trarre; se l’uomo invece uscisse e si abituasse piano piano al sole, scoprirebbe il mondo e ciò che lo abita, capendo tutte le cose. A questo punto, gli verrebbe spontaneo correre all’interno della grotta per portare fuori anche i suoi compagni. Ma ciò non sarebbe possibile, perché chi è stato alla luce, dovrebbe riabituarsi all’oscurità. Un altro trauma, un altro dolore. Ed ecco che colui che sa, agli occhi degli altri diventerebbe uno zimbello, un pazzo, un folle, se non addirittura una minaccia.

Chi esce dalla caverna e che diventa conscio di tutto, può essere paragonabile al filosofo, che si pone quesiti cercando la verità, mettendo in discussione la realtà stessa delle cose.

In poche parole, già all’epoca dell’Antica Grecia, si ipotizzava l’esistenza del Matrix, il mitico film con Keanu Reeves che tutti conosciamo! Platone era Morpheus e colui che si sarebbe alzato per andare incontro alla luce era Neo (che a mio avviso ha uno dei risvegli più traumatici della storia del cinema).

Ed è precisamente questa figura che, secondo Platone, dovrebbe essere a capo di una città o di uno Stato! Un governo fatto solo di filosofi, una vera e propria tecnocrazia utopica.

Tra parentesi, con tecnocrazia si sottintende una forma di governo i cui capi siano esperti di materie scientifiche (scienze dure), umanistiche (scienze molli) e tecnica.

Potete capire da soli quanto una probabilità come questa sia totalmente irrealizzabile.

Tra l’altro, un governo europeo di stampo tecnocratico venne ipotizzato dal politico e filosofo austriaco Kalergi nel 1922, attraverso il suo progetto Pan-europeo (precedente al Manifesto di Ventotene), un’associazione conosciuta all’epoca anche come Unione Paneuropea.

E alla pari di Platone, anche il filosofo Aristotele non vedeva di buon occhio la democrazia, come indicava nel suo trattato “La Politica”, scritto nel IV secolo a.C.

A differenza del promulgatore dell’iperuranio (Platone), tuttavia, Aristotele credeva nella cosiddetta politìa, vale a dire una costituzione dove il potere è nelle mani del popolo, in favore del bene comune. Secondo lui, la democrazia, al contrario, nonostante anch’essa conferisse potere al popolo, non avrebbe mirato al bene comune, ma solo all’agiatezza delle classi più ricche, lasciando indietro quelle più povere.

Ma perché Platone e Aristotele denigravano la democrazia, promuovendo la tecnocrazia e la politìa? Ecco che qui sorge, effettivamente, una delle prime vere contraddizioni di questa forma di governo, tanto ideale quanto fumosa.

Quello che sto per dirvi potrà risultarvi, in principio, strano, se non addirittura assurdo: la democrazia porta con sé il fatale rischio di sfociare in una tirannia.

Ma com’è possibile? Come può un governo in cui è il popolo ad avere il potere decisionale, diventare una dittatura?

Ce lo spiega benissimo lo storico greco Tucidide, nel suo resoconto risalente al periodo tra il 431 e il 404 a.C. “La Guerra del Peloponneso”: in questo scritto, Tucidide spiegava come lo statista ateniese Pericle, nonostante non fosse affatto considerato un tiranno e fosse anzi stato eletto in modo del tutto democratico, influenzasse la folla. Citando il libro: “Quando si accorgeva che quelli (l’assemblea ateniese) si abbandonavano a sconsiderata baldanza, li colpiva con le sue parole, portandoli allo sgomento, per ricondurli poi a uno stato d’animo in rinnovato coraggio, se li vedeva in preda a una paura irrazionale. Di nome, a parole, era una democrazia, di fatto il potere del primo cittadino.”

Cosa diceva Machiavelli, filosofo e strico nostrano (1469 – 1527) nel suo “Il Principe”? “Il fine giustifica i mezzi”. E la politica, lo sanno tutti, è un puro e “semplice” gioco di potere, fatto di indottrinamento, mentalismo, carisma e capacità di “controllare le masse” per il proprio tornaconto.

Chi corre alla poltrona, durante la sua campagna, può alterare il processo decisionale con mille tipologie di raggiri e inganni, ma senza andare troppo nel machiavellico, anche solo con una semplice frase pronunciata nel momento opportuno.

Anzi, è proprio in questi istanti che, soprattutto ai giorni nostri, grazie ai social network, vengono messe in atto delle letterali guerre cognitive, capaci di condizionare, se non addirittura omologare il pensiero comune. Vi ho parlato più nel dettaglio di questo argomento in un mio recente articolo, che potete leggere cliccando qui.

Ma il plagio mentale non si ferma alla semplice campagna. Chi è al comando è stato, sì, scelto dal popolo… ma in base a cosa? E soprattutto, costui può agevolmente far leva non tanto sul bene comune o su una bussola morale del tutto giusnaturalista, ma sull’emotività del popolo, andando così a favorire (che sia in maniera diretta o indiretta), determinate fette della suddetta popolazione. Sarebbe, in effetti, l’autoavverarsi della “profezia” di Aristotele.

Persino nella visione pacifista di Immanuel Kant (colui che ha ispirato l’ideologia dietro al Manifesto di Ventotene sopracitato), vi è un punto interrogativo.

Egli era totalmente a favore della democrazia, non vi è dubbio! Lo dimostra anche attraverso il suo saggio del 1795, “Per la Pace perpetua”, dove redige un ipotetico trattato di pace tra tutti gli Stati del mondo, in modo da evitare qualsiasi tipo di conflitto futuro. La soluzione? La democrazia dilagante, basata sui princìpi di libertà e uguaglianza e conseguentemente portatrice di pace.

C’è un però: essa è possibile dal momento in cui gli uomini smettano di comportarsi egoisticamente, apportando continuamente “eccezioni alla regola”. Qui entra in gioco la “ragion pura” di Kant, la bussola morale che dovrebbe essere insita in ognuno di noi, che dovrebbe farci ripudiare persino qualsivoglia tipo di menzogna, comprese le cosiddette “white lies”, le bugie a fin di bene.

Sappiamo tutti che ciò non è praticamente possibile, malauguratamente, Schopenhauer docet (filosofo tedesco realisticamente cinico, 1788 – 1860).

E se poi, come accade negli USA, per esempio, le elezioni sono nelle mani di un popolo così tanto vasto, non si parla più di democrazia, ma di olocrazia o populismo.

Che cos’è? Dal greco “ochlos” (moltitudine, massa) e “kratos” (potere), si tratta del “potere alle masse”. Fu lo storico greco Polibio a teorizzarne l’esistenza, nel VI libro della sua opera “Storie”, pubblicata nel II secolo a.C.

Egli riteneva che esistessero tre forme di governo buone (la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia) e tre forme di governo cattive (la tirannide, l’oligarchia e l’olocrazia). Secondo la sua opinione, il governo ideale era quello romano, che combinava le tre forme considerate positive (e che nel frattempo aveva coniato la parola “repubblica” per autodefinirsi al meglio, un governo in mano a tutti).

Ma tornando all’olocrazia, egli asseriva che si trattasse di una forma degenerata di democrazia, dove sono le grandi masse, condizionate emotivamente e senza alcun freno o direzione ideologica, ad avere il potere. Diventava così una sorta di tirannide del popolo e, contemporaneamente, di tirannia vera e propria, poiché chissà chi sarebbe stato in grado di eleggere il popolo in preda a chissà quale febbre o istinto!

Un altro punto critico e controverso della democrazia è nella stessa definizione: “la democrazia è quella forma di governo dove la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente dal popolo […]”.

Direttamente o indirettamente? È una frase di per sé contraddittoria e ambigua. Un potere indiretto implicherebbe il fatto che lo stesso non possa essere esercitato nella sua totalità libertaria, prerogativa imprescindibile della democrazia “perfetta”. E infatti, durante il periodo Illuminista, Jean-Jacques Rousseau si schierò a favore della democrazia, affermando però che questa doveva rispettare il potere inalienabile e inarrestabile del popolo. In parole povere, o una democrazia è completamente diretta o non è affatto una democrazia.

Anche perché, seguendo questa linea logica, perché si sente la necessità di indicare l’esistenza di più tipologie di democrazia? Si passa dalla partecipativa, alla meritocratica, alla diretta, alla rappresentativa, alla costituzionale, ognuna con clausole leggermente differenti.

Di nuovo, come diceva Rousseau: una democrazia o è diretta o non lo è per niente.

Ulteriore punto piuttosto impreciso, è il funzionamento elettorale e qui mi sovviene il monologo di Giorgio Gaber del 1996.

Sappiamo tutti in che modo funzionano le elezioni, a prescindere dalla modalità di elezione, che sia un voto anonimo all’interno di una cabina o per alzata di mano alla luce del sole. In fin dei conti, vince la maggioranza. Com’è giusto che sia, direte voi.

Gaber, quindi, diceva: “Se dalle urne viene fuori il 51 (%) vinci, se viene fuori il 49 perdi. Ecco, dipende tutto dai numeri. Come al gioco del lotto, con la differenza che al gioco del lotto il popolo qualche volta vince, in democrazia mai. E se viene fuori il 50 e 50?”.

Insomma, come si può considerare la democrazia una forma di governo del popolo equa, se è il popolo stesso a essere diviso? Che razza di maggioranza sono un paio di voti in più? 49 contro 51 non è 92 contro 8.

Sono questi i casi in cui si può pensare che vi sia una falla nel sistema.

Infine, espongo un altro quesito: e se la maggioranza del popolo decidesse, in maniera democratica, di volere un governo antidemocratico? Sarebbe un paradosso, una contraddizione grossa quanto una casa. Specialmente considerando il fatto che per far sì che ciò non accada, debba essere redatta una Costituzione Rigida in un qualsiasi Paese democratico, ponendo in essere l’impossibilità del popolo di decidere altrimenti in un secondo momento. Praticamente si toglie la libertà di scelta a un popolo, nel tempo.

Forse, sempre paradossalmente parlando, l’unica democrazia veramente democratica… è l’anarchia! Pensiamoci: una sorta di auto-governo in cui ogni cittadino è libero da qualsiasi forma di potere statale, laddove colui che promulgò per la prima volta questa visione rivoluzionaria, vale a dire il filosofo Pierre-Joseph Proudhon, sostituiva il concetto di proprietà privata con quello di possesso, rinnegando una qualsivoglia forma di violenza.

L’anarchia non è infatti da confondere con il banale caos da “La Notte del Giudizio”. Questa è stata una “involuzione” dell’idea di anarchia, poiché, come ho già detto, essa rinnega la violenza.

Ciononostante, anche in questo caso, l’anarchia è una grandissima utopia che, irrimediabilmente, sfocerebbe effettivamente nel caos, perché come dice il proverbio: “Il mondo è bello perché è vario” e qualcuno ha aggiunto “a volte avariato”.

Inutile elencare una ad una tutte le opere d’arte di stampo politico che sono state realizzate nel corso del tempo, visto che sono davvero innumerevoli, partendo in primis da un classico della storia dell’arte: “La Libertà che guida il popolo” di Eugène Delacroix, olio su tela del 1830, raffigurante il vivo della Rivoluzione Francese, mentre il popolo insorge contro la monarchia, guidato da una donna con il seno esposto che sorregge la bandiera della Francia. Quella donna non è esistita davvero, per quanto ne sappiamo, ma rappresentava un ideale, una missione, una speranza e una rinascita per il Paese.

Un artista che, però, si può definire in pieno come “artista democratico” è lo street artist contemporaneo Banksy, di cui ancora non si conosce l’identità. I suoi lavori, che sbucano sui muri degli edifici di ogni città del mondo, come se fossero spuntati dal nulla, sono opere cariche di protesta sociale, culturale e politica, che non mancano mai di lanciare messaggi estremamente potenti ed emotivi, che non hanno confini geografici o religiosi, ma che sono comprensibili da chiunque, avendo un grande quanto diretto impatto visivo.

Perché “artista democratico”? Perché egli afferma che l’arte non debba essere un bene di consumo dedicato a una sola parte di popolazione, quella erudita e “studiata”, quella ricca, che può permettersi di frequentare e comprendere certi ambienti. L’arte è del popolo, è di tutti e tutti hanno il diritto di ammirarla e usufruirne. Ecco perché dipinge sui muri e non su una tela in un atelier parigino.

Se invece volessimo avere una dimostrazione visiva di che cosa sia la democrazia a livello artistico, basti osservare i dipinti di William Hogarth, vissuto tra il 1697 e il 1764.

Egli realizzò una serie di quattro dipinti intitolata “The Humours of an Election”, a circa una decina d’anni prima della sua morte (1755).

I quattro oli su tela (i cui titoli sono: “An Election Entertainment”, “Canvassing for Votes”, “The Polling” e “Chairing the Member”) si incentrano, con un’ironia pungente e provocatoria, sulle elezioni democratiche di un membro del parlamento nell’Oxfordshire, nel 1754.

Ognuna mette in risalto la fallacità del sistema di votazione di quel tempo, dove lo scrutinio non era segreto, ragion per cui la corruzione dilagava tra gli astanti nella confusione generale. Un caos rappresentato in maniera estremamente satirica, se non addirittura demenziale, con una miriade di dettagli e riferimenti alla cultura di quel periodo.

"The Humors of an Election" di William Hogarth

Non dimentichiamoci del Partenone, il tempio che domina Atene dall’alto della sua acropoli. Santuario in stile dorico dedicato al culto della dea Atena, protettrice della città, non è solamente uno dei grandi capolavori dell’arte greca, ma uno dei simboli per eccellenza della democrazia ateniese, nonché una delle opere più importanti al mondo.

E se, ancora, volessimo qualche rimando cinematografico alla libertà che una democrazia diretta debba appoggiare, un qualsiasi film sul giornalismo d’inchiesta, sullo svelamento della verità dei fatti, è un ottimo esempio.

Come “The Post”, la pellicola firmata da Steven Spielberg del 2017, con protagonisti Meryl Streep e Tom Hanks. Il lungometraggio ruota attorno alla pubblicazione dei Pentagon Papers da parte del New York Times e del Washington Post nel 1971, documenti top secret del dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America che mettevano in luce la terribile realtà sui soldati americani mandati al fronte nel conflitto vietnamita.

Una pellicola che, nel 2018, è stato candidata come miglior film e, nella categoria miglior attrice protagonista, Meryl Streep: una difesa alla libertà di stampa.

 

Ora, accingendomi all’epilogo di questo mio articolo, presumo che molti di voi abbiano pensato, forse in maniera un po’ troppo frettolosa, che questo sia uno scritto contro la democrazia.

Niente di più sbagliato.

La democrazia è un sistema di governo decisamente ideale, che permette all’individuo di esprimersi in assoluta libertà. La frase che meglio racchiude e definisce il concetto su cui essa si fonda, è stata pronunciata da Abramo Lincoln, durante il suo discorso a Gettysburg nel 1863: “(la democrazia) è il governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo”.

Una visione che ben si accorda con quella già menzionata da Polibio nell’antichità e che nonostante i cambiamenti storici, perdura ancora oggi.

E ce ne sono tanti altri di pensatori e filosofi che hanno dato il loro contributo in questo senso, ponendo sempre più tasselli in questo “ginormico” mosaico, ma menzionarli tutti qui sarebbe impossibile.

Certo, tutti gli indottrinamenti cui siamo soggetti, i costanti bombardamenti mediatici e le campagne di influenza mentale, non giovano affatto alla suddetta visione, facendo sfortunatamente apparire la democrazia contemporanea come una sorta di “gioco del bastone e della carota”. Essa, per come stanno degenerando tutti i rapporti geopolitici del mondo, con perenni manifestazioni e rivolte, sembra quasi il bicchiere d’acqua che ti viene dato per mandare giù un pillolone amaro che altrimenti ti strozzerebbe.

Eppure, non bisogna sputare in faccia a tale sistema governativo, ricordando che al mondo esistono Paesi devastati dalla tirannia e dalla dittatura, che sia essa di tipo militare o religioso, dove l’opinione del popolo non è neanche lontanamente contemplata, dove anche solo contravvenire a una legge statale comporta la morte.

Scrivendo, non ho avuto alcuna intenzione di criticare la democrazia, tutt’altro, cioè metterne comunque in discussione la perfezione, evidenziando le lacune che andrebbero colmate per migliorarla. In che modo? Beh, anche questo fa parte dell’evoluzione dell’Uomo e la sua Natura egocentrica, a tratti ignorante e negligente, fondamentalmente ambivalente, non aiuta di certo nella realizzazione di un ideale politico del genere.

In fin dei conti, come dice il giornalista e sociologo nostrano Stefano Nasetti nel suo libro “Il lato oscuro della Luna”: “Viviamo in una democrazia apparente, in cui la libertà è forse soltanto un’illusione della nostra mente.”.

Scritto da Camilla Marino

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