Ogni anno, al Metropolitan Museum of Art di New York, uno dei più grandi e importanti musei degli Stati Uniti, il “first monday in may” (letteralmente, il primo lunedì di maggio) si svolge l’evento che celebra l’apertura della mostra primaverile della moda, ampiamente considerato uno tra gli avvenimenti sociali più rilevanti ed esclusivi del mondo: il Met Gala, chiamato formalmente Costume Institute.
Ribattezzato “gli Oscar della East Coast”, il Gala è organizzato ogni anno da Vogue, una delle più prestigiose e autorevoli riviste del mondo della moda, con sede a Times Square e diretta dalla giornalista britannica Anna Wintour, (ricordiamo tutti Meryl Streep nel film “Il diavolo veste Prada”?). La Wintour ha assunto la presidenza dell’Institute nel 1995, occupandosi anche della lista degli invitati, che potrebbero ritrovarsi poi immortalati tra le pagine e le copertine del giornale.
Per fare un po’ di informazione, prima di andare avanti e scrivere ulteriormente del Met, vi ragguaglio sommariamente su ciò che è Vogue, come per esempio, che fu fondato a New York il 17 dicembre del 1892 da Arthur Baldwin Turnure (venduto poi alla casa editrice Condé Nast nel 1909) e che aveva il fine di essere “la gazzetta” per l’aristocrazia newyorkese, raccontando lo stile di vita e gli interessi di una classe agiata rappresentata dall’alta società della Grande Mela. È pubblicato addirittura in altre 21 edizioni nazionali per un totale complessivo di 16 lingue, espandendosi all’estero, toccando tutti i continenti e raggiungendo 19 Paesi.
Ma tornando al Gala, che viene ospitato nell’Upper East Side di Manhattan, con la partecipazione di note e iconiche celebrità che appartengono a varie sfere professionali come il cinema, lo sport, la televisione, la politica, la musica, gli affari, il teatro, i social media e compagnia bella, scopriamo che fu istituito nel 1948 dalla pubblicista di moda Eleanor Lambert, nascendo proprio come una significativa raccolta fondi benefica.
All’inizio il Gala era quasi interamente frequentato solo dai membri dell’High Society di New York o dell’industria della moda della città: il primo comprendeva una cena e i biglietti costavano 50 dollari ciascuno (costa di più una serata tematica al Just Cavalli di Milano). Ora, nel 2023, i prezzi sono saliti a 50.000 dollari (spiccioli…), mentre i tavoli del convivio di gala oscillano tra i duecentomila e i trecentomila dollari (onesti…), giustificati, direi, dallo scopo di tutto questo “ambaradan” dal risvolto charity (nel 2019, per esempio, è stata raccolta una cifra record pari a 19 milioni di dollari in donazioni, non male).
L’evoluzione più globale e glamour, però, ci fu a partire dal 1972 quando Diana Vreeland (giornalista specializzata nella moda) divenne consulente del Costume Institute: fu lei a decidere che la mostra si dovesse tenere al “The Met”, introducendo i famosi temi specifici raccomandati per l’evento, “obbligando” gli ospiti a seguirli, allargando la lista degli invitati anche a personaggi popolari e noti, che si sarebbero miscelati bene con l’élite newyorkese e, per il suo debutto, venne inaugurato il tema “The World of Balenciaga” (per chi non masticasse l’inglese, “Il Mondo di Balenciaga”).
A oggi la lista annuale degli ospiti è limitata a circa 650 o 700 persone. Di solito succede anche che i grandi brand della moda acquistino un intero tavolo, invitando le celebrità amiche della Maison che, ovviamente (ottima strategia di marketing), arriveranno indossando le creazioni dello stilista ospitante.
Infatti questo mega-evento della fashion industry ha un red carpet molto simile a quello degli Oscar, dove sfilano tutti i più strabilianti capi d’abbigliamento e look dell’arte della moda, perché sì, il Met è un’incredibile mostra d’arte vivente, un’esibizione dell’espressione della creatività, una grandissima e stravagante vetrina per molti designer, il tutto accomunato dalla filantropia.
Il titolo del tema e il dress code di questa edizione del 2023 è stato: “Karl Lagerfeld: A Line of Beauty”, a cura di Andrew Bolton. Un tributo allo stilista scomparso nel 2019 a 85 anni, lasciando un’eredità immensa in termini di moda e stile. Uno stilista che personalmente ho sempre apprezzato e anche indossato, considerato uno dei fashion designer più prolifici, influenti e geniali di sempre.
I curatori della mostra e del gala hanno dichiarato, prima che iniziasse: “celebreranno la vita e il lavoro dell’iconico stilista, noto per il suo contributo all’industria della moda come direttore creativo di marchi di lusso come Chanel e Fendi”, ma aggiungerei anche Balmain, Patou, Chloé. L’esposizione dedicata alla moda intesa come arte, è aperta al pubblico dal 5 maggio al 16 luglio di quest’anno e presenta circa 150 capi e schizzi di Lagerfeld.
Mai visto tanto bianco e nero e cravattini alla Lagerfeld su un tappeto rosso (ce lo aspettavamo considerato il tema), ventagli, nastrini e nastri di raso.
Tra una Rihanna vistosamente ricoperta di camelie bianche (o erano rose? Un botanico mi risponda, per favore) e un Pedro Pascal (il sex symbol per eccellenza degli ultimi tempi) avvolto in un enorme cappotto rosso e “in mutande”, tra una Kristen Stewart, immancabile musa degli ultimi anni di attività di Lagerfeld e una rivoluzionata biondissima e azzeccata Jessica Chastain, tra una perfetta Karlie Kloss, il cui abito Loewe era un concentrato del più puro stile Lagerfeld e una Dua Lipa con un abito indossato nel 1992 da Claudia Schiffer , tra uno scenografico Jeremy Pope firmato Balmain, con gli iconici occhiali neri e l’inconfondibile codino bianco a una Penélope Cruz “sposa” o una Mercoledì Addams in “Steampunk style” o una Nicole Kidman con il vestito rosa di piume Chanel da lei stessa in precedenza indossato per lo spot del profumo N°5 nel 2004 e tanti altri… ha vinto Jared Leto!
Travestito in versione pupazzo, con un vero e proprio costume di soffice pelliccia, con gli occhi celesti, si è immedesimato nella gatta birmana Choupette, che tutti rammentiamo essere stata la compagna di vita tanto amata da kaiser Karl, a cui Lagerfeld ha lasciato una parte della sua eredità affinché vivesse i suoi anni nel comfort e lusso assoluto (questo mi ricorda molto “Gli Aristogatti”…). Non nuovo alle sorprese, l’anno scorso Leto si era presentato con la sua testa in mano, una riproduzione ultra realistica del suo cranio mozzato. Ma non è stato l’unico felino della serata perché anche la musicista Doja Cat, indossando un abito di Oscar de la Renta, ha abbinato un perfetto trucco da micia. Numerosi i gioielli e le borse raffiguranti gatti sfoggiati da influencer e modelle.
I menù del Met Gala hanno sempre incuriosito, nel caso di quest’anno il pasto ha preso spunto dal libro della cena di Lagerfeld per il matrimonio di Paloma Picasso e Rafael Lopez-Sanchez nel 1978. La carta prevedeva una zuppa fredda di piselli primaverili con verdurine baby, crème fraîche al limone e una spolverata di tartufo, seguita da un salmone King con nage (un metodo di cottura) di verdure, asparagi, fragole sottaceto e ravanelli, il tutto servito su porcellana vintage.
Cena che durante il Met Gala è riservata e a porte chiuse, senza la possibilità di introdurre cellulari. È inoltre vietato fumare, farsi selfie in bagno e, da quando nel 2016, dopo che Karlie Kloss si rovesciò un bicchiere di vino rosso sull’abito bianco, sono stati banditi vino, aglio, cipolla e prezzemolo. (Capisco il vino rosso, ma aglio e cipolla? Anti conversazione?).
Negli anni alcuni temi scelti per interpretare la serata hanno fatto più scalpore e sono stati sottoposti anche a critiche e controversie, come il Gala del 2018, che aveva un soggetto cattolico e Rihanna si presentò indossando una mitra papale. I social media si scatenarono “urlando” blasfemia e sacrilegio, non considerando che la stessa Chiesa aveva prestato più di quaranta paramenti papali dal Vaticano e che il cardinale Timothy M. Dolan aveva anche partecipato. Oppure, la pioggia di critiche a Kim Kardashian apparsa con l’abito icona, quasi “sacro”, appartenuto a Marylin Monroe, indossato mentre cantava l’indimenticabile “Happy Birthday to you…”, dedicata al Presidente Kennedy, che però ben rappresentava, secondo me, il tema dell’anno scorso: “In America: An Anthology of Fashion” (In America: Un’Antologia della Moda). O ancora, nel 2015, “China: Through the Looking Glass”, originariamente chiamato “Whispers: Tales of the East in Art, Film and Fashion”, a cui fu cambiato il nome perché la critica affermò che era “Un richiamo al sottile razzismo istituzionalizzato, che è stato aggravato da secoli di isolazionismo asiatico, e che supporta stereotipi occidentali esacerbati dall’ignoranza e la natura meme-able dei social media.” (No comment)
I disappunti ci saranno sempre e non mancheranno neanche quest’anno e ha ragione mia nonna quando esclama una citazione di Stanislaw Jerzy Lec, scrittore polacco (1909 – 1966): “Ci saranno sempre degli Eschimesi pronti a dettar norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura.”
Oppure, per rimanere in argomento, citando di nuovo il grande stilista, alla domanda fatta a Karl Lagerfeld in un’intervista a “La Repubblica” su quale fosse il vero lusso, lui rispose: “L’intelligenza”.