Ormai siamo in un’epoca che sta affrontando e realizzando un gran numero di situazioni che, una volta, si sarebbero potute definire fantascientifiche. Se leggete il mio articolo sugli ascensori spaziali, che ho scritto non molto tempo fa (lo trovate cliccando qui), ve ne accorgerete. Fino a una manciata di decenni orsono, sarebbe stato quasi impossibile pensare che costruzioni del genere potessero essere realizzate, eppure, eccoci qui… in procinto di concretizzarle!
E lo space mining fa parte di questa categoria: chi mai avrebbe immaginato che, un giorno, saremmo partiti per le stelle in cerca di minerali?
E, come ogni mio pezzo, anche questo non mancherà dei miei consueti riferimenti artistici.
Cosa si intende con space mining? La traduzione italiana è industria mineraria spaziale, ovvero un ramo dell’industria mineraria che si occuperebbe dell’estrazione di materie prime da asteroidi near-Earth (asteroidi la cui orbita è vicina a quella terrestre) o da altri corpi celesti.
Al momento, ci si sta concentrando sugli asteroidi, considerato che solo nel 2014 ne sono stati calcolati ben più di 11 mila. Tutti questi oggetti fluttuanti, rimangono orbitanti nel Sistema Solare per un periodo compreso tra i 10 e i 100 milioni di anni e, nella maggior parte dei casi, non sono pericolosi per il nostro pianeta, in quanto destinati a essere eliminati conseguentemente al decadimento orbitale, all’espulsione dal Sistema Solare stesso (magari causato da una nuova vicinanza con un altro pianeta) o alla distruzione data dalla collisione con un corpo celeste.
Queste “rocce volanti”, così come gli altri pianeti presenti nel nostro raggio d’azione, potrebbero essere ricche di minerali come: ferro, nichel, manganese, titanio, terre rare, platino, ma si spera soprattutto anche di acqua e ossigeno per sostenere la vita, nonché di idrogeno, utilizzato come propellente per i razzi spaziali.
Improvvisamente ho un flash mentale di “Space Colony”, in cui il sostentamento nutrizionale è dato dall’allevamento di polli, un videogioco manageriale pazzesco che ancora oggi mi appassiona… Chissà se, tra estrattori di silicio ed estrattori di ferro, impianteremo anche un’unità di allevamento, appunto, di polli spaziali!
Comunque, le tipologie di asteroidi papabili per questa nuova frontiera dell’industria mineraria sono tre: asteroidi di tipo C, di tipo S e di tipo M (qualcuno chiami la NASA, la fantasia nello scegliere i nomi è più che proibitiva).
I primi hanno abbondanza d’acqua, che può essere una grande fonte di rifornimento per le missioni spaziali di esplorazione. A questo proposito, l’azienda americana TransAstra, sta sviluppando una nuova tecnologia di estrazione, che consiste in una gabbia dinamica in grado di catturare e frantumare l’asteroide, sfruttando la potenza dei raggi solari. Questa meccanica sarebbe molto utile per ricavare l’acqua dai corpi di tipo C, rendendoli così, a tutti gli effetti, degli “autogrill spaziali”!
I secondi sono più attraenti per il loro contenuto di metalli, tra cui ferro e cobalto, oltre a essere ricchi di materiali preziosi come oro e platino.
I terzi sono un po’ come i Pokémon leggendari: sono rari, ma sono miniere d’oro, con un quantitativo di materie prime pregiate dieci volte maggiore rispetto agli asteroidi di tipo S.
Esisterebbero anche i cosiddetti ERO, sarebbe a dire degli “oggetti facilmente recuperabili”. Letteralmente, degli asteroidi che, con le tecnologie già in nostro possesso, possono essere avvicinati all’orbita terrestre per le operazioni di estrazione.
Niente paura, qui non c’è uno scenario alla “Armageddon”: questi asteroidi non sono pericolosi per la nostra Terra.
I metodi di estrazione di queste risorse sono diversi:
- Raschiatura della superficie
- Perforazione del corpo celeste
- Rastrelli magnetici
- Riscaldamento
- Processo di Mond, ovvero un metodo collaudato da Ludwig Mond nel 1899 per estrarre e purificare il nichel, convertendo gli ossidi minerali del nichel in nichel puro attraverso una combinazione chimica con il monossido di carbonio
- Utilizzo di macchinari autoreplicanti, vale a dire dei robot autonomi capaci di “riprodursi” da sé
Sorge a questo punto una domanda: come si fa a capire quale asteroide contiene le materie prime di cui abbiamo bisogno? Di certo non si va a occhio o a sentimento! La TransAstra ha ideato un particolare sistema di sky-scanning in grado di provvedere a ciò. Un sistema sfruttato dal telescopio Sutter Mill, in onore della segheria Sutter’s Mill appartenuta a John Sutter e James Wilson Marshall a Coloma (California) e che, a partire dalla metà del XIX secolo, fece esplodere la conosciuta febbre dell’oro, con migliaia e migliaia di uomini che partivano alla volta dello Stato dell’orso per cercare il celebre metallo dorato.
Al momento, è in corso una missione spaziale intrapresa dal programma Discovery della NASA: Psyche.
Il nome fa riferimento all’asteroide 16 Psyche, uno degli oggetti più grandi orbitanti lungo la fascia principale, una particolare zona situata tra Marte e Giove, occupata interamente da asteroidi di forme e dimensioni variabili, nonché dal pianeta nano Cerere.
Osservato per la prima volta nel 1852 da Annibale de Gasperis dall’Osservatorio astronomico di Capodimonte (Napoli) e battezzato con il nome di Psiche, fanciulla di straordinaria bellezza e compagna di Amore/Eros nella mitologia greca, si tratta, appunto, di un Pokémon leggendario: è un asteroide di tipo M.
Il Falcon Heavy di SpaceX, cioè una sonda spaziale che fa parte dei lanciatori super-pesanti parzialmente riutilizzabili, è partita nel mese di ottobre del 2023 e il suo viaggio per raggiungere 16 Psyche durerà sei anni, arrivando dunque a destinazione nel 2029.
La missione non consiste proprio in un’estrazione mineraria, quanto invece in uno studio più approfondito sulla formazione dei nuclei planetari, poiché si suppone che questo asteroide sia in realtà tutto ciò che rimane di un nucleo ferroso di un antico protopianeta andato semi distrutto in seguito alla collisione con un altro oggetto.
Ma quindi, cosa c’entra 16 Psyche con lo space mining, se lo scopo finale non è quello di avviarci una miniera?
La NASA conferma che le tecnologie per l’estrazione mineraria spaziale non sono ancora pronte, anche se diversi privati all’infuori della NASA ci stanno lavorando. Tuttavia, la missione Psyche è un ottimo punto di partenza per questo settore, vista la mole di dati che verranno raccolti.
Viene ora spontaneo chiedersi: perché abbiamo così tanto bisogno di andare a trivellare un altro corpo celeste in cerca di materie prime?
La Terra non è una miniera infinita e la transizione alle energie green risulta più che mai necessaria.
Il punto è che per compiere questo salto di qualità, occorre un gran quantitativo di metalli, quelli che vi ho citato fino a ora.
Inoltre, anche con l’avvento delle nuove scoperte tecnico-scientifiche legate all’Intelligenza Artificiale, la produzione di macchinari e cellulari, si è alzato il fabbisogno delle suddette.
Cionondimeno, come sarà facile intuire, non si può di certo salire, dare quattro picconate su Plutone e poi scendere come se nulla fosse!
Al di là del punto di vista puramente pratico, uno scoglio da superare è quello legato al Trattato sulla Luna.
E che cos’è? Il suo nome originale è Moon Treaty, ma in italiano è conosciuto anche come l’Accordo che regola le attività degli Stati sulla Luna e sugli altri corpi celesti (più eloquente di così…) e venne finalizzato il 18 dicembre del 1979, a seguito dello sbarco sulla Luna. Entrò in piena funzione nel 1984 e si proclama come un documento che regola le attività che possono essere svolte, appunto, sulla Luna e sugli altri corpi celesti da parte degli Stati che lo hanno firmato.
Il principio dell’Accordo, tanto per intenderci, segue le stesse linee guida di quello sui fondali marini decretato dalla Convenzione ONU sulle Leggi del Mare.
Ora mi è venuta in mente la battuta di Matt Damon nel film “The Martian”: “Mark Watney, il pirata dello spazio.”.
Qual è il contenuto di tale documento? Sostanzialmente, esso dichiara che le missioni spaziali sui corpi celesti devono essere mosse da motivazioni pacifiche e che qualsiasi materiale venga prelevato o estratto dagli stessi, è automaticamente patrimonio dell’umanità. Ne consegue che chiunque vada su a raccattare delle rocce lunari, per esempio, non si tenga il bottino tutto per sé, ma che lo condivida con gli altri Paesi per scopi di ricerca. Per di più, nel trattato viene espresso come l’ambiente lunare e degli altri corpi celesti non debba essere in alcun modo alterato da parte dell’Uomo.
L’insieme di tutte queste legittime regolamentazioni prende anche il nome di Outer Space Treaty (abbreviato OST) o di Corpus Iuris Spatialis.
Carta canta, giusto? Perché, quindi, si tratta di una questione spinosa?
Perché l’anzidetto Trattato, al giorno d’oggi, è stato ratificato solo da 18 Stati e tra questi non figurano le tre grandi potenze mondiali che, oltretutto, sono in competizione tra loro nella corsa allo spazio: USA, Russia e Cina.
Anzi, di questa regolamentazione, in fondo equa e corretta, gli americani se ne sono infischiati, firmando una legge nel 2015 che li autorizza a sfruttare lo spazio per fini commerciali.
Tutto questo parlare di possibile appropriazione di materiali spaziali, mi rende impossibile non citare il film evento del 2021 “Don’t Look Up”, con la regia di Adam McKay e con un cast composto interamente da pezzi da novanta: Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Jonah Hill, Cate Blanchett, Rob Morgan, Timothée Chamalet, Ron Perlman, Ariana Grande, Mark Rylance, Tyler Perry (c’è nessun altro?).
Nato come un’allegoria del riscaldamento globale, questo film si è rivelato un’opera tanto satirica quanto follemente realista. La trama si incentra sull’avvistamento di un’imponente cometa che impatterà inevitabilmente contro la Terra, causando l’estinzione immediata di ogni forma vivente del pianeta. L’asteroide che ha ucciso i dinosauri, insomma.
La pellicola mostra la reazione dei governi alla notizia, con una Presidentessa degli Stati Uniti più preoccupata delle elezioni, un Capo di gabinetto incapace e infantile e con una popolazione più intenta a creare meme virali sulla vicenda.
Il tutto culmina nella folle decisione di non dirottare la cometa, avendo quindi la possibilità di salvare al cento per cento l’umanità, ma di cercare di frantumarla in pezzi più piccoli e innocui cosicché, al loro impatto sulla Terra, possano essere sfruttati per le loro risorse minerarie. Una scelta che mette a repentaglio la vita del pianeta, volta semplicemente a riempirsi le tasche.
Una narrazione veramente geniale, brillante e grottescamente comica che, malauguratamente, per quanto apparentemente saturata, risulta pazzamente plausibile.
E parlando di space economy, non posso non menzionarvi una serigrafia di Andy Warhol: “Moonwalk Pink”.
Il pop artist più celebre al mondo ci ha proposto la sua visione della famosissima fotografia che ritrae Neil Armstrong a passeggio sulla Luna, scattata dall’astronauta salito con lui Edwin “Buzz” Aldrin Jr.
Con la tecnica della serigrafia, la preferita di Warhol, egli poteva sperimentare diverse stratificazioni di colore, che conferivano alle sue opere una visione del tutto iconica e vibrante.
Nei suoi lavori, Warhol ha sempre criticato il sempre più predominante consumismo, una caratteristica tutta statunitense.
E “Moonwalk Pink” non è esente da questa critica, poiché mette in risalto il tipico sensazionalismo americano (anche se, in questo caso, un sensazionalismo più che giustificato), abbinato all’idea che anche lo spazio, dal momento in cui l’Uomo ha mosso il primo passo sulla Luna, diventerà un banale bene di consumo.
Ed effettivamente, per quanto sia sempre a dir poco entusiasmante l’idea di attraversare il cosmo per rispondere ai vari “perché” che ci poniamo quaggiù, non posso fare altro che pensare al fatto che queste due opere artistiche siano, in realtà, delle terrificanti profezie.
Come ho già detto più volte in diversi miei articoli, l’essere umano è una macchina tanto intelligente quanto cretina, risultando dunque profondamente egoista e autodistruttrice.
Stiamo consumando la nostra amata Terra, smembrandola fino al nucleo, per poterne ricavare materiali e nutrienti anche in maniera spropositata.
E la nostra soluzione non è quella di cercare di sfruttare le nostre risorse in maniera consona e contenuta, ma è quella di andare su un sasso spaziale o su un altro pianeta e di renderlo una miniera d’oro per le nostre tasche.
Vorrei tanto pensare il contrario e sperare che non avvenga. Ciononostante, temo vivamente in un futuro in cui non ci faremo scrupoli a cambiare la conformazione dei vari corpi celesti per i nostri grami scopi.
E poi, come diceva il poeta, critico e scrittore statunitense James Russell Lowell (1819 – 1891): “Gli umani non sanno quello che hanno sulla Terra. Forse perché la maggior parte di essi non hanno avuto l’opportunità di lasciarla e poi tornare ad essa.”.