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Diario di viaggi – Favignana #1

Tra le mie mille passioni, c’è sicuramente quella per i viaggi… e chi non ce l’ha? Nel mio blog poteva mancare una sezione dedicata al mio continuo vagabondare per il globo? Ovviamente no.

Chi mi conosce lo sa: soffro se sto per troppo tempo a casa mia, a Milano e non giro un po’ di mondo. Anche in un periodo come quello che abbiamo passato, cercavo di stare ferma il meno possibile.

Anzi! Ne ho approfittato per visitare l’Italia, visto che scappo sempre all’estero e “snobbo” spesso la mia terra natia.

Per carità, l’Italia è meravigliosa, uno dei Paesi più belli proprio per le particolarità uniche e riconoscibili di ogni regione, ma ho sempre pensato che, essendo casa mia, dovessi vedere il mondo esterno, cosa ci fosse “là fuori”. Dicevo sempre: “Metti caso che un giorno non avrò più la possibilità di andare all’estero, avrò sprecato il tempo che ho adesso nel vedere qualcosa che non scappa, che rimane e che potrò visitare quando voglio.”.

E come volevasi dimostrare… quel momento tanto temuto è arrivato. Ma, adesso, è finita, siamo liberi! O almeno… forse non lo siamo ancora totalmente perché imprigionati nella matassa di strascichi emotivi e burocratici di quello che è stato il 2020… ma siamo sulla giusta rotta! Potrò tornare a immergermi con gli squali alle Hawaii, innamorarmi del tramonto sull’Oceano Indiano, passeggiare per la 5th Avenue e Central Park, vivere in costume da bagno su un’isola alle Maldive, mangiare con le scimmie nella Monkey Forest indonesiana, salire sulla Tour Eiffel, nuotare con tartarughe centenarie, dugonghi e pesci tropicali, entrare nella tomba di un faraone nella Valle dei Re e tante altre cose che ho fatto e che vi narrerò.

Perché viaggiare non significa prendere un aereo e vedere un posto a caso solo per piantare una bandierina: viaggiare significa sentire il mondo, viverlo. Vuol dire che quando tu ti rechi negli angoli più remoti della Terra, percepisci il cambiamento dell’aria; la meraviglia nell’osservare persone completamente diverse o simili a te che però parlano in una lingua che può sembrare bizzarra; i colori attorno a te sembrano nuovi, mai visti; i profumi, le scritte sui cartelli, i suoni… tutto è sempre una scoperta. E i veri viaggiatori come me, si drogano con questa essenza di nuovo, non ne possiamo davvero fare a meno. Perché restare chiuso nel proprio angolo di terra, con la stessa gente, le stesse facce (per quanto le si possa amare), lo stesso panorama fuori dalla stessa finestra… è come essere rinchiusi in una stanza senza porte.

Certo, mi rendo conto che certi viaggi non siano per tutti: alcuni costano e costano anche tanto… Ma viaggiare non è per forza sinonimo di aereo, hotel di lusso, escursioni super mega dispendiose. Viaggiare è anche prendere l’auto e andare nel paese vicino, andare a mangiare in un ristorante di un’altra città raggiungibile anche in treno, prendere una corriera e arrivare in una regione diversa dalla tua, prendere una bicicletta e pedalare, correre come faceva Forrest Gump… tutte cose che si potrebbero fare benissimo, basta volerlo, basta capirlo. Spesso, i confini non sono geografici, sono solo mentali. Basterebbe comprare una borsa in meno, perché per quanto la borsa possa essere figa da acquistare e portare a spasso, non ti arricchirà mai tanto quanto un viaggio, perché come diceva Sant’Agostino: “Il Mondo è un Libro e chi non Viaggia legge solo una Pagina.”

Quindi, visto il periodo alquanto particolare e visto che molti mi chiedono di raccontare delle mie esperienze all’estero, eccomi qui a parlarvi dei miei viaggi!

E proprio perché ultimamente mi sono concentrata sull’Italia, voglio raccontarvi di uno dei nostri paradisi, un’isola a molti sconosciuta perché troppo concentrati su altre mete apparentemente più glamour, come Formentera, Ibiza o Mykonos… vi sto parlando di Favignana, la farfalla in mezzo al mare, la perla del Mediterraneo… e chi mi conosce e segue il mio profilo Instagram privato, sa che la amo alla follia.

Ma prima di raccontarvi in più capitoli di questo mio viaggio continuo, anche perché vivo tra Milano e Favignana, ecco qualche info generale per chi non avesse idea di che cosa stia parlando!

 

Favignana è un’isola che fa parte dell’arcipelago delle Egadi, a poco meno di mezz’ora di aliscafo da Trapani… ma anche molto vicina a Tunisi, seppur non direttamente collegata. Si tratta praticamente di uno scoglio, come la chiamano gli isolani, perché la superficie dell’isola non arriva neanche ai 20 km quadrati e, di conseguenza, la popolazione non è certo in esubero durante l’inverno. Gli abitanti sono poco più di 3400, comprese le altre due isole più piccole, Marettimo e Levanzo… praticamente la metà degli abitanti del mio quartiere a Milano!

Anticamente il nome di quest’isola era Aigousa, termine greco che significa letteralmente “che ha capre”… e io che pensavo fosse la Sardegna ad avere il primato di ovini!

Ma comunque, il nome Favignana deriva dal Favonio, l’antico nome del vento di ponente che regna in questa zona e ne governa il clima.

E state tranquilli… quando dico che a Favignana il vento regna… non scherzo. Maestrale, Tramontana, Scirocco, Ponente: quando ci sono questi venti, state pur sicuri che in barca rollerete che è un piacere o, molto più probabile, non riuscirete nemmeno a fare un’escursione nelle cale più belle.

Ah… naturalmente, quando si parla di Favignana come la farfalla in mezzo al mare, non lo si dice a caso: la forma dell’isola, vista dall’alto del cielo, ricorda quella di una farfalla… mah… a me ricorda più il simbolo di Batman, ma forse la farfalla in mezzo al mare ha un suono decisamente più romantico de “il pipistrello del Mediterraneo”…

Per arrivare in questa terra dove il tempo sembra essersi fermato all’epoca dei Florio (tra poco vi spiegherò chi sono e perché), il mio viaggio è cominciato da Bergamo, perché l’aeroporto più vicino a Favignana è quello di Trapani, dove arriva solo la compagnia Ryanair, quindi niente aerei da Milano Malpensa o Linate. La prima volta che ho deciso di passare le vacanze sull’isola, ho fatto un bel giretto: da Milano a Palermo, con una specie di viaggio della speranza su una navetta partita alla volta di Trapani. Un percorso durato per un’ora e mezza, lungo poco più di 100 chilometri, con le valigie, sotto il sole torrido, il sudore che mi infradiciava il collo, per via dei miei tanti capelli. È effettivamente un giro più lungo da fare in una botta sola, ma potrei consigliarlo a chi, invece, ha intenzione di visitare anche il capoluogo siciliano. Al secondo giro non mi sono lasciata di certo fregare da questo pellegrinaggio infinito: sono atterrata direttamente a Trapani, nell’aeroporto piccolissimo “Vincenzo Florio”.

Si tratta di un aeroporto militare italiano aperto al traffico civile, che ha una zona militare, inaugurata il 21 novembre del 1961, dove è presente una base operativa avanzata della NATO: la Forward Operating Base. Inoltre vi è uno dei tre stormi caccia intercettori (un velivolo creato apposta per distruggere eventuali aerei nemici) dell’aeronautica militare italiana, a difesa dell’aerea sud del Mediterraneo.

Come vi ho già detto, è un aeroporto piccolo, quindi scendendo dall’aereo mi ritrovo subito al nastro trasportatore a prendere la mia valigia grossa e nera, quella che ho comprato a Ibiza, mia compagna d’avventure, che mi ha seguita in ogni dove, anche dall’altra parte del globo, con maschera e pinne ormai incorporate al suo interno.

Mi bastano una trentina di passi per arrivare alle porte scorrevoli dell’uscita e prendere al volo uno dei taxi che attendono gli arrivi. A Trapani non funziona come nelle metropoli, non esiste il radiotaxi, ogni autista ha un suo bigliettino da visita con sopra scritto il numero di cellulare. Bisogna chiamarli con un certo anticipo, non ci si può aspettare il classico: “Sarò lì fra tre minuti.”, perché nella zona i taxi sono pochi, sono meno di quanti ce ne siano in una città come Milano. E non ci sono Uber! In alternativa, si può prendere il bus 741 della compagnia AST che conduce al porto in 40 minuti.

Fortunatamente non mi devo porre questo problema quando scendo dall’aereo.

In meno di venti minuti sono al molo da dove partono gli aliscafi della Liberty Lines da e verso le Egadi. Siamo ad agosto di un anno e mezzo fa (e da lì si sono susseguite innumerevoli altre volte a Favignana, come ora, che vi sto scrivendo dall’isola e siamo a novembre 2022) e c’è parecchia gente, forse troppa. Sicuramente troppa. Non mi sono mai piaciute le masse di persone in attesa, sembrano sempre una matassa di materia dai colori sgargianti che si modella a seconda dello spazio in cui viene contenuta, come fosse un blob, con la differenza che questa materia fa tanto rumore… ma anche questo fa parte del viaggiare.

E a questo rumore si aggiunge quello delle centinaia di macchine che sfrecciano sulla strada in maniera disordinata e cattiva. Noi a Milano siamo in tanti, ma siamo più ordinati… a Trapani sono, invece, un po’ più “creativi”. Sulla banchina ci sono anche panche dove potersi sedere in attesa che l’aliscafo parta. C’è una biglietteria dove si possono acquistare i tickets, se non sono stati già comprati online anticipatamente sul sito: decisione che vi consiglio apertamente, anche perché, in certi periodi, gli aliscafi sono pieni.

Ma non voglio aspettare qui in mezzo al blob. Attraverso la strada, portandomi il bagaglio appresso, e raggiungo un bar ristorante piccolino, ma molto carino, che si chiama Molo 45. La cameriera è simpatica e gentile, mi serve un cannolo siciliano che è lungo quanto una baguette: la cialda croccante stracolma di ricotta, le gocce di cioccolato all’interno e lo zucchero a velo mi provocano sempre un orgasmo dei sensi pazzesco.

Ordino anche una spremuta d’arancia e melograno, che in Sicilia sono top, ovviamente, e sono così intenta a chiacchierare con gente conosciuta al momento, che non mi accorgo che il mio pasto è durato la bellezza di mezz’ora. Mi affretto a tornare sul molo, dove l’equipaggio dell’aliscafo sta già facendo accomodare i turisti a bordo, con un accento e delle espressioni in dialetto che mi fanno impazzire, perché sì… io vado matta per il dialetto siciliano, ascolterei per ore chiunque mi parlasse con questa cadenza, anche se mi parlasse solo del colore delle sue mutande.

Mentre solchiamo le acque del Mediterraneo in questo viaggetto di circa trenta minuti, non posso fare a meno di notare come la maggior parte dei turisti parta con una foga e un entusiasmo quasi da montagna russa (“Gente! Siamo sull’aliscafo! Adesso parte! Salpiamo! Evviva!”) che poi, irrimediabilmente, si disperde nei sacchetti per il mal di mare.

Insomma, si parte da leoni e si arriva sull’isola da sorci verdi. Tranne me, che il mare posso solo amarlo, mai e poi mai mi farà soffrire di nausea!

E poi, finalmente, si arriva a Favignana. Il vento mi investe subito, scompigliandomi tutti i capelli e facendo svolazzare le gonne di tutte le ragazze a mo’ di Marilyn Monroe nel film “Quando la moglie è in vacanza”. Al naso arriva l’intenso odore del pesce fresco, messo in esposizione sui banchi del piccolo mercato ittico situato proprio sul molo di attracco degli aliscafi, come tanti gioielli in una vetrina di Piazza del Duomo. 

Gli occhi cadono immediatamente sulle barche attraccate ovunque nel porto: dai natanti da pesca pieni zeppi di reti, alle imbarcazioni più grosse usate per portare in giro i turisti; dalle barche a motore e i catamarani ai velieri e le barche a vela; dai motoscafi ai gommoni.

E nonostante questo via vai di gente e barche, l’acqua del porto è cristallina e trasparente quasi quanto quella di un lago di montagna: pulita, azzurra, chiara e pullulante di pesci, tanto che alcuni turisti si fermano a lanciare le molliche di pane (e qualche incosciente con le mani di pastafrolla e il quoziente intellettivo di una busta della spesa, pure i tovaglioli con cui tiene il cibo tra le mani).

Noto Villa Florio e la tonnara e subito mi vengono in mente “I leoni di Sicilia” e “L’inverno dei leoni”, i libri scritti da Stefania Auci, la storia dei Florio, la famiglia che ha rivoluzionato il commercio siciliano nell’Ottocento, quella che ha portato tanto benessere a Favignana grazie all’ex stabilimento dove si lavorava il tonno pescato durante la mattanza, dove è nato il tonno conservato sott’olio. Prima erano Paolo e Ignazio Florio, due fratelli originari di Bagnara, un paesino calabrese, che salparono alla volta di Palermo alla fine del Settecento, insieme a Giuseppina, moglie di Paolo, e al figlio ancora in fasce, Vincenzo.

Da principio considerati alla stregua di facchini da parte degli altri commercianti di spezie, Paolo e Ignazio lavorarono duramente per farsi un nome e guadagnarsi il rispetto di clienti, aiutanti, collaboratori, avversari e nemici. Poi, dopo la morte di Paolo, stroncato dalla malattia, fu Ignazio a continuare l’opera, crescendo il nipote Vincenzo come fosse figlio suo, insegnandogli tutto quello che c’era da sapere per portare avanti quella che sarebbe diventata Casa Florio. E Vincenzo apprese… eccome se apprese. Un genio, un uomo straordinario che ha guardato oltre con una determinazione e un’intelligenza senza pari, l’uomo che ha creato una cantina di vini pregiata e conosciuta in tutto il mondo, l’uomo che ha “inventato” il tonno sott’olio, che ha portato l’impresa dei Florio e l’isola di Favignana al massimo del loro splendore, insieme all’amore della sua vita, sua moglie Giulia (e qui mi sento quasi orgogliosa nel dire che, grazie a lei, i discendenti dei Florio hanno anche sangue milanese, perché lei era originaria di Milano). 

E quella villa, visibilissima dal porto, costruita nel 1874 dal figlio di Vincenzo e Giulia, Ignazio (chiamato così in ricordo dello zio che aveva cresciuto Vincenzo. Questa tradizione, quella di chiamare i figli come gli zii o i nonni, è rimasta viva in molte zone della Sicilia, a Favignana soprattutto), mi fa compiere un viaggio a ritroso nel tempo.

Tutta l’isola sembra essere rimasta ferma a quell’epoca, dove le uniche cose che contavano erano la forza del vento e del mare, nonostante l’avvento dei turisti, giudicati come stranieri su questa terra, perché provenienti “dal continente”.

Mi perdo con lo sguardo e con i pensieri anche mentre carico le valigie sulla navetta del Mangia’s Resort and Villas, il resort dove alloggio ogni volta che, durante l’estate, approdo su quest’isola. Mentre percorriamo la strada principale che conduce alla mia destinazione, non posso fare a meno di notare quante biciclette e motorini ci siano. Infatti, a Favignana, il miglior modo per circolare è noleggiare uno di questi veicoli a due ruote. È possibile prendere a noleggio anche un’auto, ma non conviene, perché l’isola è piena zeppa di strade sterrate. È pieno zeppo di luoghi dove si possono affittare bici e moto, già a partire dal porto. Ho sempre girato per l’isola in questo modo, non c’è alcun bisogno di scervellarsi per portarsi un mezzo di trasporto appresso da casa. A parte il fatto che mi viene voglia sempre di salire in groppa a un asino e andarmene in giro come fossi Sancho Panza nel romanzo “Don Chisciotte della Mancia”, perché qui si ci sono tantissimi e adorabilissimi asinelli, che passeggiano tranquilli per i campi. C’è anche una costellazione di mucche, che si possono vedere pascolare serene nell’erba… o anche per alcune strade un po’ più isolate, se non ci sono tanti turisti in giro!

Tra l’altro, se volete un contatto diretto con gli isolani, per poter chiedere informazioni riguardanti alloggi, noleggi, escursioni e quant’altro (nonché per rifarvi gli occhi con migliaia di foto e video postate dagli utenti), vi consiglio di dare un’occhiata alla pagina Facebook Favignana Turismo, alla quale sono iscritta.

Arrivo al resort. Qui, all’accoglienza in reception, ho conosciuto quelli che sarebbero diventati dei buoni amici.

Nei miei prossimi capitoli sul mio viaggio a Favignana vi elencherò anche altri posti dove poter soggiornare.

Il Mangia’s è uno dei migliori resort di Favignana, con l’accesso diretto al mare, tramite una rampa scavata negli scogli. Vi sono anche due piccole insenature naturali, con l’acqua così limpida e verde da farle sembrare due piscine, piene di occhiate, polpi, ricci di mare e murene. Dalla rampa, spesso e volentieri, mi prendo il sup, solcando le onde trasparenti, lanciando sguardi lungo la costa, verso la collina in cima alla quale vi è il Castello di Santa Caterina e osservando le barche che passano ogni giorno, puntuali come un orologio svizzero.

Barche che conosco una a una, alcune meglio di altre perché ci sono salita tante di quelle volte… Favignana la si gode appieno dal mare. Per girare attorno all’isola, nelle cale più belle, non si ha che da scegliere tra tutte le escursioni che si possono prenotare. I barcaioli, tutti con un sorriso e una spensieratezza contagiosi, offrono, compreso nel prezzo che oscilla tra i 50 e i 70 euro a persona, un pranzo ricco e gustoso, tipico del luogo. Mi ricordo ancora quella buonissima caponata che mi sono goduta dopo essermi tuffata dalla barca la prima volta… e a proposito di mangiare: il cibo locale è buonissimo, una specie di droga per il palato. 

Tra busiate, tartare di tonno, spaghetti ai ricci di mare, sughi trapanesi, gamberi, pistacchi, polpi, fritto misto di mare… si è sempre indecisi su cosa scegliere quando ci si siede a tavola! In un successivo articolo vi parlerò più nel dettaglio di quelli che sono i piatti tipici del luogo e anche dei ristoranti e locali migliori dell’isola.

 

Tra le soste più spettacolari, sicuramente mi viene in mente Cala Rossa, la più famosa, chiamata così per due motivi: il primo, forse anche il più scontato, è per la colorazione che assumono le rocce della scogliera, tendenti al rossiccio; la seconda motivazione, che è anche quella che preferisco insieme ai favignanesi che la narrano come fossero dei Ciceroni, è il sangue dei feriti e dei caduti nella cruenta battaglia tra romani e cartaginesi che ebbe luogo nel 241 a.C. Quel giorno, si dice ci fosse vento da nord, quindi vento di Tramontana, che contribuì a tingere di rosso quelle acque che adesso sono più azzurre del cielo, così tanto da sembrare una piscina! Se si osservano dall’alto, le varie imbarcazioni ancorate a Cala Rossa, sembra quasi di vederle volare, con le loro ombre che si posano nitide sul fondale bianco e sabbioso.

E quelle ombre, come quella di Peter Pan, sembrano volare con una volontà propria verso le altre cale più belle di tutta l’isola.

Una di queste è il Bue Marino, quella che preferisco più di tutte, dove la scogliera è costellata da varchi oscuri, le vecchie cave di calcarenite, materiale con cui costruivano le case della zona una volta, un intricato labirinto buio che si dipana per tutta l’isola e dove è facile perdersi.

Poi si va verso Cala Azzurra, una delle poche forse più godibili da terra, piccolina e stretta, dove ho preso il sole stesa sugli scogli, addentando un’arancina comprata al RistoBar lì accanto.

Ci sono, poi, lo Scivolo e Marasolo, superando Punta Fanfalo (dove è situato il Mangia’s) e l’isolotto del Preveto, il cui nome è letteralmente la parola “prete” in dialetto siciliano, a poche decine di metri dalla costa. Segue Cala Pirreca dove, di solito, ci si ferma per pranzare, tra un tuffo e l’altro, perché è un ottimo punto per lo snorkeling: ho nuotato con le occhiate, ammirato le piccole stelle marine sul fondale, raggiunto la spiaggia fatta di sassi dove mi sono sdraiata sotto il sole, dopo aver attraversato una fitta foresta di alghe.

Si passa dal faro di Punta Sottile, che sembra osservare il mare aperto e l’isola di Marettimo con il suo occhio solenne, per arrivare a Cala Grande, Cala Rotonda e poi Cala del Pozzo, da me tanto amate, dove il colore del mare e del cielo si confondono, si mescolano l’uno nell’altro.

Dove si può ammirare uno dei tramonti più belli che io abbia mai visto (sono un po’ fissata con i tramonti): d’estate, il sole, una palla di fuoco, si tuffa nel mare proprio dietro Marettimo, infilandosi come un filo nella cruna di un ago tra l’isola e il promontorio di Punta Troia, dove vi è arroccato l’omonimo castello.

E quando il sole affonda nelle acque tinte di rosso, rosa e arancione, Marettimo sembra diventare l’Isola che non c’è: vicina alla vista eppure più lontana di quanto si pensi, con quel profilo irradiato dai raggi della nostra stella, pare fluttuare nell’aria sopra il mare.

E poi ci sono le grotte. La Grotta Azzurra, la Grotta Perciata, la Grotta dei Sospiri, la Grotta dell’Amore, tutte raggiungibili a nuoto, dove le pareti rocciose sono dipinte naturalmente di viola e arancione. Soprattutto le ultime due sono fantastiche: entrambe con un varco nel soffitto che fa entrare la luce del giorno quasi fosse un occhio di bue puntato su di te. Ti senti speciale in quel momento, perché pare che la Natura ti stia salutando, ti stia dicendo: “Ecco, vedi che fai parte anche tu di questo posto.”.

Ed è così, effettivamente: di Favignana mi sono innamorata subito. Sarà per una sorta di richiamo delle mie origini, perché i nonni di mio padre erano siciliani; sarà per l’atmosfera così fuori dal tempo, che ti fa scordare di essere nel 2022, ti fa quasi dimenticare da dove vieni.

Sarà sicuramente perché io ho sempre amato il mare. È stato il primo paesaggio su cui ho posato lo sguardo appena nata e da allora non sono più riuscita a staccarmene se non dolorosamente.

E su Favignana ci sarebbe molto altro da raccontare e continuerò a raccontarvelo nelle prossime puntate, ma, almeno per il momento, mi fermo qui… con gli occhi che vedono solo una distesa meravigliosa e infinita di azzurro e i polmoni che si riempiono della sua inconfondibile brezza. Ogni volta che metto piede sulla farfalla del Mediterraneo, che sia d’estate o d’inverno, non posso fare a meno di ricordare le parole di Ignazio Florio: “Il mare è come una madre, ti accoglie sempre.”

Scritto da Camilla Marino